R. e P.
COMUNICATO STAMPA
Non siamo stati presenti alla manifestazione del 27 febbraio u.s. in occasione dello sciopero dei Magistrati, non che la nostra presenza fosse necessaria – essendo ben rappresentati dal Presidente della C.P. di Reggio Calabria – ma soltanto perché non siamo stati invitati, Locri, così come Palmi.
Non possiamo, però, restare in silenzio perché abbiamo visto e ascoltato, in un video pubblicato dal “Fatto quotidiano”, con grande interesse e attenzione le parole della dottoressa GRECO, sostituto procuratore reggino, a proposito della riforma sulla separazione delle carriere e dell’intervento della avvocatura.
La dottoressa declina alcune osservazioni e formula all’avvocatura una domanda -stando alle sue stesse parole – retorica, ma non troppo.
Proviamo a fare il punto.
Il primo tassello del ragionamento che dovrebbe sostenere il rifiuto della riforma è costituito, superfluo dirlo, da quell’ectoplasma intellettuale che è la c.d. cultura della giurisdizione che dovrebbe continuare ad accomunare giudici e pubblici ministeri in quanto organi di giustizia (qualunque cosa ciò voglia in concreto dire); poco più che un mantra, però, che si va ripetendo da decenni e che sin qui ha bloccato
paternalisticamente ogni desiderio anche solo di discutere di una riforma che separasse le carriere. Ora però le cose son cambiate e, dai e dai, la magistratura ha dovuto provare a spiegarlo questo concetto, oltre che brandirlo sinteticamente come strumento per rintuzzare senza discussioni le pretese di cambiamento.
La dottoressa Greco, per restare al tema, in modo un po’ sentenzioso, nel rimandare al mittente l’idea che il PUBBLICO MINISTERO non abbia a che spartire con la giurisdizione, asserisce che invece è così; e lo è sin dalla fine del fascismo (sic!). Ma nel dirlo – con la foga di giovane magistrato requirente – non s’avvede che questo è forse un argomento dimostrativo della necessità di farla questa benedetta riforma: nell’epoca additata dalla interlocutrice come origine di questa pregevole condivisione culturale il sistema processuale in vigore era quello inquisitorio. Le cose son cambiate da allora, anche se molti magistrati sembrano non essersene accorti. Di spiegazioni su cosa sia questa cultura della giurisdizione, insomma, nemmeno l’ombra. Lo spieghiamo noi, o almeno, spieghiamo quale significato ha per noi: giurisdizione vuol dire pronunciare decisioni secondo la legge e tali pronunce le fa il giudice. Il giudice e nessun altro. Cultura della legalità è meglio; quella, al pari del giudice, ce l’ha il pubblico ministero e, se non dispiace, anche l’avvocato.
Il secondo tassello, anche questo un mantra inspiegato, è costituito dal preteso desiderio di questa classe politica di assoggettare la magistratura al potere esecutivo. Hai voglia a dire che non si riesce ad immaginare un sistema di maggior tutela che quello di istituire, come il DDL fa, un CSM tutto nuovo di pacca solo per i signori Pubblici Ministeri. “Non basta”, dice la dott.ssa Greco, perché così facendo si mostra di guardare il dito piuttosto che la luna, come dimostra il fatto che il Procuratore di Roma è stato denunciato solo per aver aperto un fascicolo. Ora, con tutto l’impegno, si fatica davvero a cogliere il nesso tra quel fatto – per certi aspetti frutto di una sgrammaticatura politica – e la separazione delle carriere: il procuratore lo hanno denunciato oggi, a carriere unificate, mentre non aiuta a capire, anzi intorbida le acque del ragionamento, il fatto che la stessa dottoressa Greco vanti di iscriverne moltissimi di fascicoli: e quindi? verrebbe da dire.
Invece poi se il significato sotteso era quello dell’iscrizione obbligatoria, ciò di fatto non corrisponde a verità perché, diciamocelo senza alcun infingimento, solo formalmente l’iscrizione è obbligatoria perché di fatto vi è una corsia preferenziale solo sui reati di maggior rilievo ed impatto sociale.
Ma la parte più interessante dell’intervento, che andrebbe meglio studiata a scuola di retorica, è quella che culmina con la domanda che la dott.ssa Greco rivolge alla platea sul dove e quando la connivenza tra giudice e pubblico ministero abbia intaccato un giudizio, chiedendo a mo’ di sfida: ci dicano dove e quando, perché i reati si denunciano, oppure la smettano di blaterare.
Cara dott.ssa, quest’ultima domanda ci fa capire quanto sia importante il dialogo: ci sono tante cose da spiegare ancora se qualcuno pensa che la riforma sia fatta per sventare non meglio precisati reati di connivenza. Non è questo il punto, dottoressa Greco; il sistema cognitivo di tipo accusatorio impone la separazione tra le carriere, non perché unificate esse producono delitti, ma perché questo metodo conoscitivo che abbiamo scelto non funziona se il giudice è più prossimo ad uno degli antagonisti e le
parole arzigogolate a cui sempre più spesso la magistratura oggigiorno ricorre per giustificare l’ossimoro del pm parte-imparziale, tanto somiglia al verboso non sense prodotto dalla logica tradita di cui diceva Cordero.
Ed allora in tema di onestà intellettuale, lo sciopero del 27, secondo il nostro angolo visuale, rappresenta invece la volontà di una consolidata “correntocrazia”, quale potere trasversale alle correnti, a controllare ed indirizzare il potere legislativo in dispregio dell’equilibrio dei poteri previsto dalla nostra Carta.Al contrario, il potere Legislativo è controllabile in quanto rappresentato dai parlamentari eletti e dunque sottoposti al giudizio dei cittadini che possono non rieleggerli. Ed è per questo che ANM non può pretendere di condizionare l’indirizzo politico scelto dal Parlamento con la separazione delle carriere, mediante uno sciopero che per nulla attiene a ragioni di sindacato e che ben poteva e può esprimere le proprie ragioni di dissenso nelle giuste sedi di interlocuzione. Non vogliamo credere che il vero motivo di questa scelta inusuale (leggasi lotta politica) sia quella del “sorteggio” che, per quanto iniquo possa essere, rappresenta un tentativo di ridurre l’invadenza del potere giudiziario sulla sovranità popolare del Parlamento, per come dimostrerebbero le chat del Palamara gate.
Utile, se non addirittura fondamentale, un dialogo senza idee preconcette che auspichiamo con tutta la Magistratura.
Il direttivo della Camera Penale “Giuseppe Simonetti” di Locri