R. e P.
Ci si appropria realmente del sapere solo facendone diretta esperienza, vivendolo attraverso le vie del piacere e della pratica giocosa, a scuola come nella vita di tutti i giorni. E se i saperi e le discipline non sono monadi chiuse ma vasi comunicanti irrorati dalla stessa linfa vitale della conoscenza, a maggior ragione nessuna barriera può separare la realtà dell’aula dalla vita al di fuori di essa.
Forse è anche per dimostrare la verità di questa affermazione, a se stessa prima che agli allievi, che un giorno la docente chiese a un’alunna, incontrata per caso vicino a un negozio del paese, di recitare “Tanto gentile e tanto onesta pare” di Dante Alighieri davanti ai clienti appena usciti. Conosceva bene quella ragazza e sapeva che non si sarebbe intimidita, anzi…; e infatti quell’inaspettata performance, coronata da uno scroscio di applausi, fu per lei un “rinforzo positivo” che l’avrebbe aiutata, nel corso dei tre anni, a prendere coscienza delle proprie capacità. Perché, giocoforza, abbiamo bisogno degli occhi altrui per “leggerci”: in essi ci vediamo riflessi come in uno specchio; quegli occhi ci confermano nella nostra identità, ci rafforzano nella percezione che abbiamo di noi stessi, condizionano l’autostima. Nei primi anni di vita, ma non solo. Per questo dovremmo prestare particolare attenzione agli sguardi che lanciamo, alle parole che rivolgiamo, agli alunni, ai figli, agli altri esseri umani: la carezza di un paio d’occhi, la profezia di una frase benaugurante, possono decidere le sorti di un’esistenza. Vale per la scuola come per ogni altro ambito della realtà quotidiana: famiglia, scuola, società sono parti di un tutto animato dallo stesso respiro che le attraversa; saperi ed esperienze si intrecciano e si ricompongono nel puzzle esistenziale di ciascun individuo, dove ogni pezzo ha la propria importanza.
Si apprende sempre, anche in vacanza: al Nord come al Sud. Mi è capitato più volte, per strana coincidenza, di incontrare alunni genovesi nella Locride, figli, come me, di emigrati di vecchia data o semplicemente loro amici di famiglia, arrivati come ospiti o grazie al sempre efficace “passa parola”. E così, incrociandoli sulla spiaggia, in mare durante una nuotata o passeggiando per via, non è mai mancata l’occasione di segnalare gli eventi culturali del territorio. Come accadde in occasione della “notte delle stelle cadenti”, posticipata, quest’estate, al 25 agosto per poter fruire delle migliori condizioni atmosferiche possibili:
-Stasera al Museo di Locri Epizefiri si puntano i cannocchiali sul cielo stellato!-
Un’ottima occasione, questa, per “familiarizzare” con un sito di notevole valore e con la sua storia, per gironzolare tra le teche, rimirare i reperti più significativi, prendere coscienza delle meraviglie di un patrimonio inestimabile. Perché, dove finisce la scuola, inizia il mondo con i suoi tesori: un “libro” illustrato e interattivo, da leggere e guardare, percorrere e toccare. Il mestiere di “cercatore di bellezza” richiede costanza e un allenamento paziente degli occhi: come la ricerca di funghi in un bosco o di quadrifogli in un prato, è un’arte che si apprende sul campo e che, come tutti i talenti, non va serbata gelosamente per sé. Bisogna scovarla, la bellezza, ricordando che spesso, come i funghi appunto, è a portata di sguardo ma si mimetizza; si deve imparare a contemplarla, essere disponibili a farsi emozionare e sedurre dal suo fascino; non deve mancare, poi, la voglia di condividere con gli altri un’esperienza talmente folgorante che spesso le parole non riescono ad esprimere fino in fondo. E serve coraggio, un coraggio tenace e paziente per non stancarsi di “bussare” ad usci spesso serrati, non sempre disponibili ad aprire “al primo che passa”; usci di anime intente in faccende più serie e cogenti, e che rischiano così di perdersi “il meglio”. Ma vale la pena insistere, perché la posta in gioco è alta: si tratta di diffondere nel mondo un “virus”, per una volta, salutare”, nel senso etimologico del termine, in quanto si innesca, a partire da esso, un “contagio positivo” in grado di “salvare il mondo”.
Queste parole sono rivolte a tutti, ma in particolare a tre categorie sociali il cui contributo ritengo essenziale alla diffusione del bello: genitori, educatori e insegnanti, nella speranza di poterli in qualche modo incoraggiare in questo afoso e faticoso inizio di anno scolastico.
Genitori, non sconfortatevi se i vostri figli, come i miei, paiono talvolta sordi e refrattari a qualunque stimolo; non arrendetevi al primo tentativo e sappiate stare loro accanto, rispettandone con pazienza i ritmi. L’apprendimento ha tempi lunghi e discontinui, perché segue le pieghe e gli “scoscendimenti” dell’ anima, ma spesso i risultati emergono improvvisi e inaspettati, come le acque di un fiume carsico.
Educatori, non stancatevi di “fare rete”: seguite la via del dialogo, sempre feconda per quanto faticosa, con le istituzioni, con gli altri enti educativi, con i poli museali e culturali del territorio, ma anche con la scuola stessa. Facciamo in modo che le attività pomeridiane e collaterali siano un prosieguo di quelle scolastiche e non un “capitolo a parte”: non deve passare ai ragazzi il pericoloso messaggio che quello dell’istruzione sia un mondo grigio e alieno, avulso dalla vita e dai suoi colori; è necessario dare loro il senso dell’unità dell’apprendimento e delle conoscenze perché solo così si possono connettere e fondere le parti e l’energia può circolare una e libera.
Insegnanti, non arrendetevi al mediocre e al banale: abbiate il coraggio di osare, di “puntare alto”; e poi “ognuno arrivi dove può”. Non stancatevi mai di proporre testi di qualità, considerati forse troppo difficili e “démodé” dalla massa: ma se davvero “libero è l’insegnamento”, ben vengano, in un mondo sempre più omologato, le voci fuori dal coro! La diversità è fonte di arricchimento e il confronto con ciò che è distante da noi può diventare fecondo di risvolti e sviluppi inaspettati. I vostri sforzi e la vostra perseveranza saranno ripagati e resterete sorpresi dal coinvolgimento emotivo dei ragazzi, anche dei meno “brillanti”, dalla loro capacità di entrare in risonanza con i testi letterari e con la loro bellezza, perché essa è eterna e ha una voce potente, che attraversa i secoli e va dritta al cuore. (fine)
Livia Archinà