LOCRI – Che i rapporti tra l’ex parlamentare del Pd Maria Grazia Laganà e l’ex consigliere comunale Pino Mammoliti non fossero idilliaci era cosa nota da tempo. Oggi saranno non solo avversari politici all’interno della medesima area, ma rappresenteranno parti avverse nel processo che prenderà il via domani mattina al tribunale di Locri, dopo l’esposto-querela presentato poco più di un anno fa dalla dottoressa della direzione sanitaria contro l’avvocato locrese, a seguito del quale è stato accusato di diffamazione.

I FATTI

Il 13 febbraio del 2018 viene affisso, sui muri di Locri e di altri comuni del comprensorio, un manifesto a firma “Pino Mammoliti + 140.000 abitanti della Locride” e dal titolo “Asp tra bulli, balle e smemoratezze” nel quale, commentando una nota diffusa dall’allora direttore generale dell’Asp di Reggio Calabria Giacomino Brancati, il primo firmatario denuncia quelli che definisce come “I mali oscuri che affliggono l’ospedale di Locri: la corruzione e il malaffare”. Secondo il primo estensore del testo “Il perverso intreccio collusivo-corruttivo eretto a sistema appare difficile da smantellare, ma con le giuste attenzioni e misure potrà registrare sensibili sconfitte”. Sono tre, in sostanza, i quesiti rivolti da Pino Mammoliti all’allora Dg Brancati: “Quanti sono i dirigenti senza titolo che siedono come piranha negli uffici del nosocomio locrese; quanti sono i medici che ricevono lo stipendio da primari pur in presenza di sentenze del Giudice del Lavoro che ne negano la permanenza e i benefici; perchè non chiede la restituzione di 69.850,00 euro all’onorevole Laganà che, senza accorgersene, percepiva dette somme indebitamente”.

Secondo Mammoliti, l’allora Dg avrebbe potuto, con le economie di spesa implicitamente suggerite nel suo manifesto, avrebbe potuto permettere all’Asp l’acquisto di medicine di prima necessità, tali da garantire il diritto alla salute e la sopravvivenza dell’ospedale di Locri”.

Fin qui il manifesto, la cui eco arrivò in numerose testate giornalistiche, anche a rilevanza regionale.

Lo stesso pomeriggio del 13 febbraio 2018, Pino Mammoliti, sentito dai Carabinieri della Stazione di Locri, conferma la paternità del manifesto, che viene trasmesso all’allora ministro della Salute Lorenzin, al suo omologo alla Giustizia Orlando e al presidente della Giunta Regionale Oliverio.

Il giorno dopo, Maria Grazia Laganà sporge querela ai Carabinieri della Stazione di Locri, ravvisando, nel manifesto affisso il giorno prima delle dichiarazioni non veritiere e lesive della sua persona, corredando la querela (e successive comunicazioni ai Carabinieri) con numerosi articoli di stampa, “screenshot” di “post” su facebook scritti da Pino Mammoliti sul suo profilo, un sommario elenco dei “mi piace” ricevuti dagli stessi e i riferimenti personali di alcuni dei loro autori. Ma non solo. La Laganà allega altresì copia di una comunicazione, inviata il 20 novembre del 2012 all’allora direttore generale dell’Asp di Reggio Calabria Renato Carullo, in cui preannuncia un’imminente trasferta nei competenti uffici dell’Asp finalizzata a chiarire alcune anomalie amministrative nel suo rapporto con l’Asp 5 emerse, come è scritto nella comunicazione “In seguito – scrisse la Laganà – a una mia verifica bancaria”.

La vicenda, già balzata all’attenzione della stampa nazionale, riguarda le somme indebitamente percepite dalla Laganà, medico in servizio alla direzione sanitaria dell’ospedale di Locri, nel periodo febbraio 2011-ottobre 2012, quando la stessa era in aspettativa non retribuita in quanto parlamentare della Repubblica, eletta per il secondo mandato consecutivo.

L’ammontare delle somme indebitamente percepite era, stando a quanto contabilizzato dalla responsabile del servizio stipendiale dell’Asp di Reggio Calabria, a seguito di attività istruttoria compiuta dall’ufficio competente, pari a € 73.965,25 (esattamente 4,115,25 euro in più rispetto a quanto denunciato da Mammoliti nel suo manifesto) ed è stata restituita dalla Laganà all’Asp di Reggio Calabria in due tranche nel periodo tra il mese di maggio 2013 e il mese di maggio 2014, conformemente a quanto pattuito con l’Asp con la sottoscrizione del verbale redatto il 20 maggio del 2013.

Nel frattempo, sempre a febbraio del 2018, a pochi giorni di distanza dal precedente, Pino Mammoliti torna sull’argomento con un nuovo manifesto affisso nelle strade di Locri dal titolo “Campagna di fango per nascondere montagne di letame” in cui attacca frontalmente l’ex parlamentare, chiedendole lumi circa l’avvenuta restituzione delle somme indebitamente percepite dall’Asp, sui rapporti extra moenia tra medici ospedalieri e pregiudicati (dopo che in più occasioni la stessa Laganà aveva rimarcato come Mammoliti fosse l’avvocato difensore di Sandro Marcianò, reputato, a seguito di sentenze passate in giudicato, il mandante dell’omicidio del marito Franco Fortugno) “per ragioni – scrive Mammoliti sul suo manifesto – diverse da quelle cliniche”. Nel contempo, Mammoliti invita l’ex parlamentare a non usare il suo scritto “Per cercare di ottenere compiacenti attenzioni istituzionali”, riconoscendo, ancora una volta davanti ai Carabinieri, la paternità di quanto riportato sul manifesto.

Per il contenuto del secondo manifesto, però, la Laganà non sporge alcuna querela.

LE VERIFICHE CHIESTE DALLA PROCURA DI LOCRI ALL’ASP DI REGGIO CALABRIA

Dopo la bagarre che fece seguito all’affissione dei due manifesti da parte di Mammoliti e alla querela sporta dalla Laganà, il Procuratore della Repubblica di Locri Luigi D’Alessio, che ha aperto il procedimento, chiede ai Carabinieri di Locri di compiere delle verifiche circa l’effettiva restituzione delle somme indebitamente percepite dalla dipendente Asp al tempo in cui era in aspettativa in quanto parlamentare, sottolineando come l’effettiva restituzione o meno di dette somme costituisse l’unico riferimento del manifesto affisso – ci riferiamo sempre al primo, quello del 13/02/2018 – che potrebbe assumere contenuti diffamatori nei confronti della querelante.

Il riscontro è immediato: l’allora Direttore Generale dell’Asp Giacomino Brancati, per il tramite dei Carabinieri, fa sapere al Procuratore D’Alessio che la Laganà ha restituito le somme indebitamente percepite, per complessivi € 73.965,25, e che “Sono in corso accertamenti ulteriori al fine di verificare se con quanto versato all’epoca dalla stessa sia stato risolto il debito con l’Asp e se poi siano stati regolati o meno gli oneri riflessi di natura previdenziale. Pertanto – aggiunge Brancati – per questa vicenda collegata non ci si può ancora pronunciare su una concreta fattispecie di danno e ci si riserva di riferire all’esito della definizione degli atti amministrativi di presa d’atto della restituzione e completa “ricostruzione” della carriera della dipendente”.

Brancati aggiunge che “la vicenda è collegata ad analoga fattispecie relativa alla corresponsione di emolumenti non dovuti a dipendenti destinatari di provvedimenti giudiziari definitivi, notiziati dalla scrivente direzione alla Procura della Repubblica di Reggio Calabria”.

Fin qui la risposta di Brancati, che lasciava da sciogliere alcuni nodi, specie quello relativo all’esatto ammontare degli oneri previdenziali relativi alle somme indebitamente liquidate (stipendi più indennità di risultato) all’allora parlamentare in aspettativa non retribuita.

LA COMMISSIONE D’INCHIESTA INTERNA ALL’ASP NON RIESCE A INDIVIDUARE CON CERTEZZA L’AUTORE DEGLI ERRORI COMPIUTI IN FASE DI LIQUIDAZIONE

A inizio del 2013, l’Asp di Reggio Calabria istituì un’apposita commissione d’inchiesta sulle anomalie riscontrate nel rapporto tra la stessa e la dipendente Maria Grazia Laganà.

Nella relazione conclusiva, inviata all’allora Direttore Generale Rosanna Squillacioti, infatti, i commissari scrivono che dal mese di maggio del 2006 (inizio del mandato parlamentare) a tutto il quinquennio 2008/2013 (durata della seconda legislatura vissuta dalla Laganà come parlamentare) la stessa era in aspettativa, sebbene, per cause in corso di accertamento, dal febbraio del 2011 all’ottobre del 2012 le siano stati corrisposti gli emolumenti stipendiali. Per colpa di chi? Non è dato saperlo. Perchè il lavoro della commissione ha definito con certezza il software utilizzato per redigere i cedolini paga, i nomi degli addetti amministrativi e degli informatici dell’Asp ma anche – udite udite – l’assoluta mancanza di controlli in tutte le fasi tecniche di immissione e trasmissione dei dati necessari a redigere le buste paga. Ma non solo. Non risulta nemmeno, dopo audizione di un collaboratore amministrativo dell’Asp, la sussistenza di una deliberazione della concessione di aspettativa per il secondo mandato parlamentare della Laganà, né tantomeno alcuna domanda formulata in tal senso dall’interessata. Gli stessi cedolini paga sarebbero stati regolarmente ritirati dall’ex parlamentare o dai suoi delegati, tanto che non risultano in giacenza, né all’ufficio del Personale e né alla direzione sanitaria dell’ospedale.

Nemmeno il fornitore del software seppe chiarire agli inquirenti di chi sia stata la manina che sulla tabella anagrafica della dipendente Maria Grazia Laganà abbia potuto modificare il codice in data 24 febbraio 2011, passando dallo stato “Aspettativa mandato parlamentare” a quello “In servizio” sebbene, come è noto, il mandato parlamentare si sia esaurito solo nel 2013. Insomma, nemmeno il sistema informatico sembra in grado di chiarire chi abbia materialmente compiuto questa mossa, necessaria a corrispondere all’allora parlamentare oltre 70.000 euro d’indennità non dovute (e successivamente restituite), vuoi per l’assoluta mancanza di controlli, vuoi a causa delle evidenti carenze organizzative riscontrate dalla stessa commissione d’inchiesta.

L’INTERROGATORIO DI MAMMOLITI IN PROCURA E LE IENE

Nel mese di giugno 2018, Pino Mammoliti viene invitato a presentarsi in Procura come persona sottoposta a indagini. Risponde a tutte le domande del Procuratore D’Alessio, che gli fa presente l’avvenuta restituzione delle somme indebitamente percepite dalla Laganà, aggiungendo di avere agito, nel redigere i manifesti affissi quattro mesi prima, in assoluta buona fede, avendo come fonte di riferimento alcuni organi di stampa nazionale e la trasmissione televisiva “Le Iene” che avevano segnalato come fossero stati erogati illegittimamente all’allora parlamentare degli emolumenti stipendiali non dovuti. Mammoliti aggiunge che “A seguire tale problematica, all’epoca, furono i dottori Renato Carullo e Rosanna Squillacioti, al tempo dirigenti dell’Asp” e che “Mi riservo di produrre eventuali risultanze circa maggiori importi non restituiti dalla Laganà che risultassero da indagini della Corte dei Conti”.

L’avviso di conclusione indagini preliminari è stato recapitato a Mammoliti nello scorso mese di luglio. Domani inizia il processo.