R. e P.
Troppa violenza ormai contro le donne. Molte donne sono uccise, ogni giorno, da uomini ammalati di violenza e di ignoranza, pervasi dall’egoismo più efferato che rende ciechi e brutali. Non doveva essere certamente questo il risultato dell’impegno femminile finalizzato al raggiungimento dell’emancipazione femminile.
Società barbara quella attuale, ancor più di quanto potesse essere negli anni più bui della storia umana.
Ma è anche vero che la stessa donna si è addormentata sugli allori di un percorso in via evolutiva, ancora da realizzare e, per tale motivo, ha dimenticato l’impegno a favore della sua identità femminile, che deve essere tutelata e valorizzata per quanto attiene la sua dignità ed i suoi valori insopprimibili.
La donna ha sempre sofferto nel corso della storia umana per essere stata destinataria di una mentalità che la dipinge come essere inferiore rispetto all’uomo e, pertanto, da schiavizzare in un ruolo che la relega al ruolo di essere unicamente genitrice di figli e madre, restando nelle mura domestiche.
I talebani sono l’espressione più marcata di tale nefanda mentalità.
Occorre sottolineare, tuttavia, che non esiste analisi vincente ed obiettiva quando si parla delle donne se non si riconoscere che l’uomo, a qualsiasi popolo appartenga, nutre nell’animo i suoi miti arcaici, che può governare solo con l’ausilio di un processo educativo che gli faccia riconoscere la realtà autentica della dimensione femminile, sicché possa realizzare una relazione vitale con la donna riconoscendole il valore ineludibile della propria dignità negata dalla storia umana e da arcani stereotipi e, nel contempo, riconoscendole il possesso dell’ intelligenza anch’essa negata alla donna, nonché il possesso della libertà intesa come possibilità di partecipare in ogni ambito della vita umana in veste di protagonista, ossia come soggetto e non come oggetto, come essere pensante e non come essere amorfo da sottomettere e relegare all’unico ruolo biologico di madre, che sicuramente le appartiene, non certo, tuttavia, come aspetto delimitativo, ma espressamente creativo.
E’ altrettanto vero che anche le donne nutrono miti e si avvalgono di stereotipi arcaici nel vivere la propria esistenza. Lo vediamo nella relazione con le altre donne verso le quali non sempre sono benevole, anzi. I termini che utilizzano, con grande cattiveria,
nei confronti di donne non sposate non sono certo eleganti ed amorevoli, pur non essendo felici esse stesse, molte volte, della propria condizione di donne sposate, come i fatti tragicamente dimostrano.
L’uomo e la stessa donna, purtroppo, senza esserne consapevoli, sono spesso complici della mancata affermazione della donna. Da tale presupposto, da tale inconsapevole complicità occorre prendere le mosse per intraprendere un reale processo di emancipazione femminile. La cultura di molte donne si constata essere spesso molto carente quando si parla della condizione femminile.
Ciò significa che la stessa donna non ha preso in mano ancora le redini della sua vita, nonostante le dure battaglie femminili a favore dell’emancipazione delle donne, che sono state sofferte, molto incisive ed hanno sortito leggi paritarie davvero encomiabili.
Ritengo, pertanto, che sia giunta l’ora per le donne di creare reti solidali con le altre donne, che le conducano a stringere le mani alle altre donne, al fine di creare quella forza propulsiva per realizzare un tessuto coeso che ne ratifichi la propria forza nella difesa della propria dentità femminile, nella difesa dei propri diritti reali e, pertanto, del diritto fondamentale ed insopprimibile, che è quello della vita, che nessuno deve più neanche pensare di poter annientare.
Leggi, nuove leggi ed ancora leggi e dure sanzioni, strumenti di reale difesa devono essere la conseguenza dell’unità finalmente realizzata di tutte le donne, diretta alla salvaguardia della propria vita, alla creazione di una nuova cultura della vita e di una nuova consapevolezza del valore ineffabile della dignità della donna. “Le donne al centro dell’esistenza” dovrà essere lo slogan che le donne, tutte insieme, dovranno scandire, con vigore e fede rinnovate, verso le Istituzioni, verso la società tutta e verso gli uomini tutti ed, innanzitutto, verso gli uomini assassini, che trovano nelle donne, ritenute fragili ed incapaci, le loro vittime predilette.
E l’uomo? L’uomo deve essere civilizzato non vi è dubbio. Il processo di civilizzazione deve iniziare fin da bambini, ad opera delle stesse madri, delle scuole, delle Istituzioni tutte, della società nel suo complesso. E’ tardi!
Si potrebbe affermare che l’epoca attuale, con le sue crisi e le sue frane, sia responsabile dell’ imbarbarimento dell’uomo.
Equivarrebbe a deresponsabilizzare gli uomini e le stesse donne.
La pedagogia dell’Amore e della Vita deve essere chiamata in causa nuovamente, in quanto è un processo in divenire che non si arresta mai.
Purtroppo tale pedagogia è stata dimenticata. Di essa nessuno sembra volersi interessare. Tuttavia senza di essa la società si inaridisce e lascia spazio alla violenza e alla morte.
Ripartiamo, dunque, dalla pedagogia dell’Amore e della Vita. Le donne siano le vere protagoniste di tale processo di civilizzazione e proseguano sulla strada intrapresa, tanti anni fa, da donne coraggiose e consapevoli del valore della dignità delle donne, del valore della loro intelligenza e del valore della loro opera civilizzatrice della vita. La violenza contro le donne sarà arginata – non vi è dubbio – dal coraggio delle stesse donne!
Perciò ricordo il messaggio, sempre attuale, di una canzone degli anni ’70: “Donna, donna, il sole è alto. Corri in strada, canta, grida. Dai riprenditi la vita, i tuoi gesti, la parola. E che arma è la parola. Non ti fa sentire sola”.