Nell’Italia delle mille disparità sanitarie, la storia di Simona Coluccio, madre della piccola Maria Pia, testimonia una delle tante battaglie silenziose condotte da chi è costretto a combattere ogni giorno per i diritti fondamentali. Maria Pia, affetta da una gravissima disabilità, non ha ricevuto la giusta assistenza per le sue necessità, e la madre ha denunciato pubblicamente l’inefficienza delle istituzioni e della sanità calabrese.

Dopo mesi di richieste formali per un aumento delle ore di assistenza alla figlia, la situazione è peggiorata. Le ore necessarie non solo non sono state concesse, ma ora la gestione delle cure è passata nelle mani di cooperative che non riescono a garantire il livello di assistenza indispensabile per la bambina. “Sembra un calvario”, afferma Simona con voce rotta dall’esasperazione, “mia figlia è stata penalizzata anche dall’ultima commissione che ha cambiato il piano assistenziale, relegandola a un’assistenza ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) inadeguata per le sue condizioni.”

Quello che per molti potrebbe sembrare solo un disguido burocratico, per Maria Pia è questione di vita o di morte. Dal 22 agosto, la bambina non ha più ricevuto la terapia fondamentale per la sua sopravvivenza. “Per mia figlia la terapia è vita”, dichiara Simona, spiegando che, mentre aspetta una risoluzione, ha dovuto provvedere privatamente a garantire le cure necessarie.

Simona ha deciso di intraprendere un’azione legale, affidandosi all’avvocato Pino Mammoliti, per denunciare non solo la situazione attuale, ma anche tutte le carenze passate che hanno gravato su Maria Pia e la sua famiglia. “Non mi darò pace finché non capirò perché mia figlia non può avere l’assistenza giusta, vista la gravissima disabilità di cui soffre.”

Dietro alla rabbia di questa madre c’è un profondo senso di ingiustizia, alimentato dalle discrepanze territoriali che ancora caratterizzano il sistema sanitario italiano. “Se Maria Pia fosse nata in un’altra parte d’Italia, non ci sarebbe stato bisogno di tutta questa umiliazione,” riflette Simona. La sanità calabrese, secondo lei, ha mostrato la sua totale inadeguatezza nel gestire casi così delicati. E la responsabilità, afferma, va anche a chi è chiamato a guidare il sistema. “Se il commissario della sanità calabrese, Occhiuto, avesse investito nella sanità invece di concentrarsi su eventi e fiere, non ci troveremmo in questa situazione.”

Simona confida ora nella giustizia affinché ponga fine a quello che definisce un “stillicidio di negata assistenza”, sperando che la sua battaglia possa essere di esempio e portare a un cambiamento strutturale nella gestione delle disabilità gravi, non solo in Calabria, ma in tutta Italia.

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