R. e P.
I napoletani lo chiamavano ‘Don Peppino o telegramma”.
In quegli anni ’60 in cui gli unici cinguettii che si conoscevano erano quelli degli uccellini veri e i tweet erano ancora da venire il mezzo più veloce per far pervenire il proprio pensiero era il telegramma e lui ne inviava dozzine ogni giorno e per qualunque cosa accadesse nel mondo.
Il pugile Nino Benvenuti vinceva il campionato mondiale dei pesi medi?
Lui gli mandava un telegramma.
Che i Beatles facessero il loro ultimo concerto o, chessò?, che Kissinger venisse eletto Segretario di Stato o che Firenze fosse sommersa dall’esondazione dell’Arno, immancabilmente partiva un telegramma dal Quirinale.
Perché il lui in questione, il Peppino o telegramma, era il Presidente della Repubblica Italiana Giuseppe Saragat.
L’uomo dal telegramma facile.
Nei telegiornali le notizie erano intervallate dalla lettura di quelle sue manifestazioni di gioia, di dolore, di soddisfazione, di rincrescimento e chi più ne ha più ne metta.
In quella Prima Repubblica, nella quale le divisioni ideologiche erano piuttosto marcate anche all’interno degli stessi partiti che non si facevano scrupolo di ospitare, pur senza dividersi, tutte le correnti che soffiavano, non ci fu italiano che non abbia sperato che a quella moda venisse dato un taglio.
Cosa che accadde, a parte l’intervallo di Napolitano -chi non ricorda la parodia di Crozza “È con viva e vibrante soddisfazione . . . “- e i telegrammi furono per sempre sepolti dalla polvere della storia.
Stessa cosa accadde per la presenza (o il presenzialismo?) dei nostri rappresentanti politici agli eventi, alle commemorazioni, ai disastri, ai momenti di gloria di questo o quel vincitore di qualcosa.
Una tendenza benvenuta che ha posto fine all’ipocrisia di chi sfruttava quei momenti per comparsate intrise di captatio benevolentiae.
Credo che il La sia stato dato dai “vergogna vergogna” urlati dai palermitani contro gli uomini di stato che credettero di potere partecipare impunemente alle esequie di Falcone prima e di Borsellino poi.
Alcuni, però, che del cambiare idea hanno fatto il loro stile di vita, hanno ripreso a credere (più per interesse di bottega, secondo me) che quel farsi vedere ai funerali, alle commemorazioni, ai tagli dei nastri vari sia cosa buona e giusta e se la stanno prendendo con Giorgia Meloni che non è andata a Crotone per rendere omaggio alle salme della tragedia avvenuta nelle acque dello Jonio.
Anch’io penso, come recita l’antico proverbio arabo, che solo gli idioti non cambiano mai idea ma, per una volta, scelgo i versi dell’italianissimo Giuseppe Giusti: -. . . e buon per me se la mia vita intera / mi frutterà di meritarmi un sasso / che porti scritto: non mutò bandiera.-
Sergio Salomone