C’era fino all’anno scorso un ragazzo che intratteneva su un social una storia d’amore virtuale con una ragazza che ragazza non era.
E c’era, fino all’altro ieri, un uomo che su quel social fingeva di essere la ragazza della quale il ragazzo si era innamorato.
La vicenda rientra all’interno del catfishing l’uso, cioè, di falsi account con false generalità creati allo scopo di raggirare altri utenti del web.
Il ragazzo, scoperta la verità, si è suicidato non riuscendo a sopportare la vergogna e il dolore.
Stessa cosa ha fatto l’uomo a distanza di tempo non tanto per i morsi della coscienza quanto perché, individuato -oltre che dalla giustizia ordinaria e denunciato per istigazione morale al suicidio- anche dalla trasmissione televisiva le Iene. Intercettato per strada mentre spingeva la carrozzina della madre e sbattuto in prima pagina, non ha retto il peso della gogna mediatica alla quale è stato esposto.
Sembrerebbe aver detto ai giornalisti: -Mi avete rovinato la vita.-
Il che, evidentemente è vero quanto è vero che lui l’ha rovinata al ragazzo.
C’è in questa vicenda, a volere parlare per paradossi, lo stesso rapporto di causa ed effetto che troviamo nella guerra russo-ucraina: un aggressore e un aggredito, un carnefice e una vittima.
Con la sola, sostanziale differenza che, per un gioco della sorte e come nei più classici melodrammi, con un “coup de theatre”, il carnefice diventa vittima a sua volta per innalzare il livello del pathos.
Volessimo trovare un carnefice, con molti forse, dovremmo riconoscerlo nella trasmissione televisiva di Italia1 che intende il giornalismo d’inchiesta in maniera un tantino sopra le righe e, altro forse, più che mirare alla sostanza, punta sulla spettacolarizzazione del fatto per aumentare punti di share.
Il fatto che lo stesso proprietario delle reti Mediaset, Piersilvio Berlusconi, abbia sentito il bisogno di dire che “Questa volta abbiamo esagerato” ne sarebbe la conferma.
Ci sono limiti oltre i quali andare significa strappare un sudario che non sarà più possibile riparare.
È la diatriba mai risolta se siano prioritari la libertà di informazione e il dovere di dare notizia di fatti che incidono sulla collettività rispetto alla salvaguardia dei diritti dei singoli.
Quando, per questa incapacità della società di sciogliere il nodo, una persona arriva a togliersi la vita, quantunque colpevole di reati, allora significa che quella società ha fallito il suo compito.
E quella persona merita comunque l’umana pietà come il più incolpevole tra i suoi pari.
Sergio Salomone