R. e P.
Una sera di qualche anno fa ero alla stazione di Paris Bercy in attesa che fosse pronto sul binario il Palatino per tornare in Italia. L’accesso al binario era impedito da alcune transenne e nessuno ci informava del perché. Tutti i passeggeri eravamo nervosi.
A una transenna mi ero appoggiato oltrepassandola di un niente e un addetto alla sicurezza o, comunque, un dipendente della SNCF, scuro di pelle, mi si avvicina e mi intima perentoriamente di retrocedere.
Lo invito a usare un tono più garbato e quello, per tutta risposta, mi mette la mano sul petto e mi spinge indietro.
Probabilmente l’ora tarda e la stanchezza accumulata girando tutto il giorno in lungo e in largo per la Ville Lumière ma, anche, l’incredulità per quel gesto, fatto è che mi è partita la brocca e l’ho mandato a se faire inculer.
Come dicono i francesi al posto del nostro vaffa.
Qualcuno dietro di me, il solito italiano politicamente corretto, sorvolando sulla spinta, mi dice che non è giusto rivolgersi a quel modo a una persona di colore e che sono razzista.
Confesso che non mi è sembrato vero di mandarlo a tenere compagnia al francese.
Con lui, bianco, il razzismo, almeno, era fuori discussione.
Racconto questo aneddoto perché ieri alla Camera il deputato Aboubakar Soumahoro è stato fischiato dai banchi della maggioranza. Certamente solo per il suo coinvolgimento nella vicenda che ha visto la moglie invischiata nella discutibile gestione di alcune cooperative e non per altre fantasiose motivazioni legate alla sua pigmentazione.
L’opposizione, invece, ci ha voluto marciare sopra e giù con interrogazioni e accuse di razzismo alla maggioranza con richieste di esemplari punizioni ai fischiatori.
Se fosse vero che quei parlamentari hanno fischiato Soumahoro per il colore della sua pelle e non per le malefatte (se vere) di suocera e moglie, va da sé che anche la mia reazione verso il ferroviere francese assume lo stesso valore.
Meglio questo razzismo, che razzismo non è, della carità pelosa di chi sostiene che le differenze debbano essere fintamente ignorate invece di essere considerate una ricchezza.
La Corte Suprema degli Stati Uniti ha appena annullato la Affermative Action -la norma che garantiva fino a oggi agevolazioni per l’ammissione ai college e alle università agli appartenenti a minoranze etniche per la qual cosa un nero o un cinese o un ispano-americano potevano rubare il posto a un appartenente alla maggioranza bianca essendo, magari, più dotato.
In Italia abbiamo attribuito con una legge sulle pari opportunità il trenta per cento di rappresentanza negli organismi alle donne pensando di far loro un favore mentre attribuiamo loro la patente di incapacità a guadagnarsi il posto.
Qualcuno mi dica: il razzismo, quello vero, è mandare un nero a farsi fo…re, trattandolo così alla stregua di un qualunque bianco, o non mandarcelo perchè nero?
E, adesso, chiamatemi razzista.
Sergio Salomone