Detto ieri della genesi del titolo della rubrica -a proposito del quale, a mia ulteriore discolpa, domando a eventuali malpensanti se davvero mi fanno capace di una autostima talmente fuori controllo da mettermi a leggere i libri di Prezzolini presumendo, magari, anche di comprenderli- oggi il problema è il razzismo di Giorgia Meloni.

La quale ieri l’altro al Senato durante il discorso per la fiducia al Governo si è rivolta al parlamentare di origini ivoriane Aboubakar Soumahoro della Federazione dei Verdi dandogli del tu.
Molte mammolette -con il termine mi riferisco a quelli che “oh my God!”

appena qualcuno dice o fa qualcosa che esca dai binari dell’ipocrisia elevata a politically correct, a quelli che “me l’ha detto la mamma”, a quelli che “si fa come dico io perché il pallone è mio”- hanno stigmatizzato questa che definiscono una “chiara manifestazione di razzismo”.
Voglio, allora, fare coming out e dire a questi soloni dei miei . . . stivali (il bon ton mi vieta di scrivere la parola che farebbe rima con soloni) che anche io sono razzista perché agli stranieri che vengono dai Paesi dell’Africa do il tu.

E, da razzista, li invito a sedere a tavola con la mia famiglia e, approfittando dell’occasione, do loro per divertimento sadico più di qualche forchettata.
Così imparano a venire in Italia.
Imparano che il mio “tu”, come quello della Meloni, è uguale a quello degli inglesi che nella loro lingua non hanno il voi né il Lei e quando si rivolgono a chiunque altro dicono “you” e nessuno li accusa di razzismo.
Il mio “tu”, come quello della Meloni, è semplificativo ed è rivolto a persone che non hanno dimestichezza con la lingua italiana e, come i nativi americani dei film western degli anni ’50, non usano il congiuntivo, non fanno arditi costrutti linguistici ma, per la maggior parte e almeno che non siano nel nostro Paese (Nazione non si può più dire altrimenti si viene etichettati come fascisti) da parecchi anni, si esprimono con i verbi all’infinito.

Senza prima dire Augh, però.
Non è questa una giustificazione, probabilmente, come non sarebbe una giustificazione il colore della pelle del senatore che potrebbe avere indotto Meloni a fare un accostamento non per forza scontato e per il quale, tuttavia, si è scusata.
Ma nemmeno questo è servito.
Come non è servito a toglierle di dosso l’infamia di essere fascista nonostante abbia detto a chiare lettere che le leggi razziali emanate dal fascismo siano il punto più basso toccato dalla nostra Storia.
Perché i farisei del crucifige hanno notato che nel dire quelle parole ha abbassato lo sguardo. E tanto basta.
Insomma, per costoro è sempre attuale il vecchio adagio: si fúji ti sparu, si ti fermi ti curtejíju.

Sergio Salomone