Ieri sera ho guardato su Sky un film del 2009 di Marco Risi figlio del più famoso Dino da tempo scomparso e regista di film entrati nella storia del Cinema come Ci Eravamo Tanto Amati, Profumo di Donna, In Nome del Popolo Italiano.
Per citarne alcuni.
Il titolo Fortapàsc è la pronuncia in lingua napoletana -perché il napoletano è una lingua- di Fort Apache e narra la vicenda tragica del giornalista napoletano Giancarlo Siani fatto uccidere dalla camorra il 23 settembre del 1985, a soli ventisei anni, a causa delle sue inchieste che su il Mattino di Napoli raccontavano la guerra tra i clan della malavita organizzata campana, la corruzione dei politici locali e la loro commistione con quella consorteria.
Verso la fine del film, per chi non lo avesse mai visto, qualche giorno prima di venire ucciso egli ha un incontro con Sasà, il capo redattore della sede del giornale a Torre Annunziata.
È un uomo navigato Sasà e, mostrandogli il suo cane che corre libero sulla spiaggia, per fargli capire su quale strada pericolosa si sia incamminato gli dice che ci sono cani e padroni e che bisogna “stare accorti” quando si decide quale scegliere tra le due condizioni.
Che, inoltre, ci sono due tipi di giornalisti: i giornalisti-giornalisti e i giornalisti-impiegati.
I primi riportano le notizie, fanno gli scoop, scassan’e ppalle e fanno male assai.
-Da’ rett’a mme, questo non è paese per giornalisti-giornalisti.
Io sono un giornalista-impiegato, ho una casa, una macchina e un cane.-
Siani sa che il suo collega ha ragione ma, pur avendo paura e ammettendo di averla, non molla.
Perché avere coraggio non è non avere paura ma filtrare la paura attraverso il cuore.
Dal latino cor da cui coraggio deriva.
Ed è per questo che al sindaco di Torre Annunziata, asservito alla camorra, che gli domanda minaccioso: -Chi ti paga?- risponde: -A me il giornale. A voi chi?-
Bisognerebbe farlo vedere nelle scuole questo film.
E, magari, anche al sabato nelle piazze dei nostri paesi.
Sergio Salomone