R. e P.

Esattamente trecentosessantacinque giorni fa gli Ucraini si sono svegliati e hanno trovato l’invasore.
Noi ci siamo svegliati qualche ora più tardi e abbiamo appreso quella cosa dalla televisione.
Qualcuno incredulo, qualcuno sorpreso, qualcuno sconcertato, ognuno di noi, tuttavia, ha, comunque, terminato la sua colazione ed ha ripreso la sua vita di tutti i giorni.

L’Ucraina, a conti fatti, è lontana e “a me che me ne frega, mica sono Pasquale io”. Come diceva Totò.
Alcuni, quella mattina dell’anno scorso -veterocomunisti appartenenti allo zoccolo duro del vecchio PCI che nell’autunno del ’56 esultarono insieme con Togliatti e Napolitano per l’invasione russa dell’Ungheria e, nell’agosto del ’68, per quella della Cecoslovacchia- abituati a quei metodi, hanno sentito scorrere brividi di piacere lungo la schiena.
Altri ex comunisti -che dalla caduta del Muro in poi stanno ancora scuotendo la bussola alla ricerca di un nord che indichi un riposizionamento che non li costringa a rinnegare il passato- più camaleontescamente, da quel mattino continuano ad andare per televisioni cerchiobottiste a cercare di fare proseliti e ad evangelizzare i poveri di spirito che la pensano diversamente con la parabola secondo la quale “. . . all’inizio c’era l’URSS, poi l’Ucraina ha incasinato le cose col Donbass”.
Come Santoro o Vauro o Moni Ovadia o Furio Colombo.
O come il direttore di Famiglia Cristiana, Marco Tarquinio il quale, con i sopra nominati, è a favore di una pace che sancisca l’accettazione, obtorto collo, da parte dell’Ucraina della rinuncia ai territori occupati dai russi.
Una pace pelosa che cancella i principi fondamentali della sovranità dei Popoli e della convivenza tra di essi.
Qualcuno, infine, ha avuto un flash back della sua fanciullezza: suo padre (lui la guerra sapeva cosa fosse perché l’aveva fatta) che nel tardo pomeriggio di quel freddo autunno, con i gomiti appoggiati alla scrivania del suo ufficio postale già chiuso al pubblico e la testa tra le mani, ascoltava le notizie sull’invasione che la radio diffondeva.
Con questa immagine nella memoria, che per quel bambino è stata un imprinting incancellabile, e con quelle che passano sui media dei civili ucraini ammazzati dai bombardamenti russi (tra le quali quella di una donna coperta da un lenzuolo accanto alla quale c’è una valigia a indicare che quella sventurata stava cercando di scappare da quell’inferno) l’adulto che è diventato non può che dire -come dicevano gli attuali giustificazionisti dell’invasione Ucraina a proposito della guerra in Vietnam- “Russians, go home!” e cantare tutti i giorni (e non soltanto il xxv aprile come fanno lor compagni) Bella Ciao.
Santoro, ricantamela.

O da quella trasmissione di Sciuscià del 2002 l’hai dimenticata?

Sergio Salomone