R. e P.
Seguivo stamattina un interessante dibattito televisivo nel quale motivo del contendere era l’abolizione del reato di abuso d’ufficio all’interno del progetto di riforma voluto dal ministro Nordio.
Mi hanno colpito le osservazioni dell’ex magistrato Armando Spataro il quale, coerentemente con la sua appartenenza al Movimento per la Giustizia (dichiaratamente di sinistra) dell’ANM ha tenuto a dire che, se cinquemila e rotti casi di abuso d’ufficio hanno portato a sole trentacinque, una in più una in meno, condanne, questo non significa che si siano fatti cinquemila processi conclusisi con quelle pochissime condanne ma che quei casi -ripeto, cinquemila- sono, nella sostanza, il numero di segnalazioni fatte alla magistratura la quale, per obbligo di legge, deve iscriverle a registro.
Ogni eccezione rimossa. Di quelle, poi, alcune vengono archiviate, altre si dimostrano prive di fondamento, altre sono oggetto di informazioni non rispondenti al vero eccetera eccetera eccetera.
Le trentacinque condanne, dice Spataro, per assurdo, sarebbero già una buona percentuale rispetto ai pochi processi celebrati.
Spataro, con tutto il rispetto, ci sei o ci fai?
E’ configurato nell’ordinamento giuridico italiano un reato che, vuoi per una cosa vuoi per l’altra, induce chi è demandato a sorvegliare sulla correttezza dei comportamenti della Pubblica Amministrazione a prendere -quattromila?, tremila cinquecento?, mi voglio rovinare, duemila, tiè!), stando a quello che dici tu, cantonate e tu difendi a spada tratta quella legge su quel reato?
Mi raccomando, non cambiare!
Sergio Salomone