Qualcuno ha disegnato una ideale evoluzione della percezione che i figli hanno del padre durante il corso della loro vita.
A cinque anni il padre sa tutto; a dieci sa quasi tutto; a quindici ci sono molte cose che non sa; a venti non capisce niente; a trenta è inutile parlare con lui; a quaranta può tornare utile chiedergli qualche consiglio; a sessanta ne sentono la mancanza.
I miei -alla maniera di Gargantua che appena partorito urla ‘datemi del vino”- saltando a pie’ pari i primi vent’anni, hanno subito urlato: mio padre non capisce niente.
Per un certo verso la cosa mi conforta perché è la conferma che non sono stati scambiati in culla dato che la madre la pensa alla stessa maniera. Sappiamo, il DNA non è acqua.
Da quella convinzione, crescendo, non si sono mai schiodati.
Per cui è normale che a loro le mie bruschette non piacciano: troppo aglio, dicono.
A proposito della studentessa che non ha voluto consegnare il cellulare entrando in classe, però, uno dei tre, il maggiore, mi ha inviato un link nel quale, dico per sommi capi, si riporta che uno studio ha accertato che l’uso continuo del telefonino espone i giovani a una riduzione notevole della capacità di espressione.
Solo il link e senza parole d’accompagnamento. Come le vignette umoristiche.
Dovrebbe essere un piccolo passo per l’uomo (io) ma un grande passo per l’umanità (loro) ma a me, invece di darmi gioia, mi terrorizza.
Se tanto mi dà tanto, va a finire che da qui a poco arriverà il momento in cui mi chiederanno consigli e, allora, io che gli dico?
Sergio Salomone