Chiunque come me abbia cominciato a studiare il latino fin dalle scuole medie ricorderà che una delle prime frasi imparate in quella lingua fu “alea iacta est”, il dado è tratto, pronunciata da Giulio Cesare nel momento in cui, muovendo guerra a Pompeo e al Senato che lo spalleggiava, passò il fiume Rubicone che lambisce l’odierna Rimini per calare con le sue legioni su Roma.
Veramente, la frase originale riportata da Svetonio sarebbe “iacta est alea” ma non staremo qui a spaccare il capello.
Oggi, tanto Giulio Cesare quanto Rimini tornano agli onori della cronaca perché L’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) si oppone alla ricollocazione -ricollocazione significa che già era lì collocata- in una piazza di quella città di un busto bronzeo raffigurante il grande condottiero romano perché, àrzati petra e rùppimi ‘a testa, fu regalata, nel 1933, da Benito Mussolini.
Non ho idea di come la vicenda andrà a finire ma, se proprio dobbiamo commentare le ultime volontà di questi vegliardi i quali -dato per esagerazione che avessero anche solo quindici anni nel ’43, oggi avrebbero abbondantemente scollinato i novant’anni, dunque, non tutti sono esattamente “quei” partigiani ma usurpatori di titolo- ottenebrati dal fascismo che vedono in ogni dove, la prima cosa che verrebbe da dire ricalcherebbe la risposta di quell’anziano padre che per strada imfastidiva le donne e, quando i figli gli domandarono perché si comportasse a quel modo, lui rispose: -Non mi ricordo ma un motivo ci deve essere.-
E ho detto tutto.
Sergio Salomone