R. e P.
Ieri l’altro ricorreva la Giornata del Ricordo delle Foibe e al Festival di Sanremo Amadeus e soci, tra una devastazione di addobbi floreali, una figurazione, abbastanza esplicita anzichenò, di un accoppiamento omosessuale, un bacio altrettanto omo sul palco e una perfomance di strappo della foto di un parlamentare della Repubblica travestito da nazista a una festa in maschera, sono riusciti a ritagliare, impresa eroica, anche uno spazio di tre minuti alla lettura di una pagina del libro La Bambina Con La Valigia di Egea Haffner nel quale la scrittrice narra la tragedia dei tre mila, forse cinque milae (qualche storico parla addirittura di undici mila complessivi) cittadini fiumani, istriani e dalmati gettati, la maggior parte ancora vivi, dai partigiani del generale Tito negli “inghiottitoi carsici”.
Le foibe, appunto.
I più fortunati, quando si dice culo!, vennero costretti a lasciare le loro case e i loro beni e espatriare in Italia da già Italiani.
Tre minuti che, a conti fatti, sono tutto grasso che cola ove si rapportino alla lettura del messaggio di Volodymyr Zelensky fatta alle due di notte passate.
Tre minuti tre (sempre quelli sono) equivalenti a meno della metà degli otto e passa riservati dal programma della rassegna canora al messaggio pronunciato da Pegah Moshir e Drusilla Foer in favore dei diritti delle donne iraniane arrestate, seviziate, stuprate e uccise dalla polizia morale di quello Stato teocratico per la quale anche solo indossare in maniera scorretta (?) l’hijab è buona causa per essere ammazzate per strada.
Ricordo ai distratti che la commemorazione delle Foibe venne introdotta per legge, la nr. 92 del 2004, per restituire dignità a tutte quelle vittime ignorate da un racconto storico che, fino a quella data, per mala fede e meschino interesse di bottega politica, guardava con colpevole bonomia, per non dire complicità settaria, ai crimini degli “amici” comunisti.
Né sembrerebbe che le cose abbiano preso una piega diversa se, come è vero, a tutt’oggi ancora singole, eminenti teste d’uovo e associazioni vicine a una sinistra italiana nipotina di quella che inneggiò nel ’56 all’invasione dell’Ungheria da parte dei sovietici -che lo stesso presidente jugoslavo biasimò al punto da accentuare ulteriormente la divaricazione nei confronti di Mosca e aprire una via jugoslava al socialismo- parlano della citata legge, come di un tentativo di revisionismo storico.
E sappiamo quanto il revisionismo per i propagandisti di una vulgata ideologica e parziale, “lorsignori”, come li definiva Prezzolini, è roba da orticaria.
Domandare per avere conferma a Renzo De Felice.
Chi scrive è stato accompagnato nella sua crescita umana e politica dalla lettura delle pagine di un glorioso settimanale -Il Borghese, diretto da una giornalista di nome Gianna Preda, per l’anagrafe appartenente al genere femminile ma dotata di notevoli attributi maschili- sulle quali dell’abominio delle Foibe si parlava già a metá degli anni Sessanta del secolo scorso.
Sulle stesse venivano con largo anticipo resi noti i fatti poi rendicontati nei libri di Gianpaolo Panza a cominciare da Il Sangue dei Vinti.
Fatti che hanno avuto bisogno di molto altro tempo per vedere la luce sui testi scolastici.
E, a proposito di Scuola, non dirò, per evitare che si possa risalire alla persona, quale anno corresse all’epoca del fatto ma accadde che, da padre di alunno frequentante l’amatissimo Liceo-Ginnasio Ivo Oliveti, abbia dovuto pretendere con fermezza, data l’ostentata contrarietà di quel dirigente, l’invio alle classi della prevista circolare per la celebrazione dell’evento che non aveva provveduto ad inviare il giorno fissato.
Siamo un Paese che vive di bizantinismi, nel quale conta portare l’acqua al proprio mulino, avere ragione o, quantomeno, fare la qualunque per averla e non importa se occorrerà fare ricorso a qualunque mezzo pur se non compreso nell’Arte di Avere Ragione di Schopenhauer.
Un Paese nel quale i retroscena, i complottismi, i relata refero non verificati, le mezze verità aggiustate con destrezza assurgono a certificazione autentica di oggettività e un ma, una virgola spostata in avanti o indietro possono cambiare la realtà come e più di uno tsunami.
Spesso nemmeno tanto per indottrinamento ideologico, per convinta disamina degli avvenimenti ma per tifo, per simpatia, per partito preso:tanto basta e così è anche se non vi pare.
Abbiamo perso la guerra come pure hanno fatto Germania e Giappone ma, mentre questi hanno saputo ritrovare, nulla interposita mora, una unità nazionale per riprendere il cammino, noi ancora arzigogoliamo sui se, i ma, i però, i forse e mezza parte del Paese gode delle sventure dell’altra metà e rosica per i successi di quegli altri.
Come nella recente occasione del mancato invito di Giorgia Meloni al vertice tra Macron e Scholtz e dimentichiamo, come la Premièr ha sottolineato, che quando il Titanic è affondato i viaggiatori di prima classe morirono annegati alla stessa maniera di quelli di terza.
-Ma ce semo o ce famo?-, direbbero a Roma.
PS: e vogliamo scommettere che i commenti della parte che stasera uscirà sconfitta alle elezioni regionali appena conclusesi in Lazio e Lombardia, piuttosto che dedicarsi al tentativo di comprendere le eventuali debolezze delle proposte offerte, attribuirà la colpa della disfatta -che già si profila dai primi exit pole- alla bassa affluenza alle urne e, per sminuire l’altrui vittoria, dirà che non è rappresentativa del sentire di tutta la popolazione?
Come se a non andare a votare siano stati solo quelli che tengono per la loro parte?
Venghino, signori, venghino.
O la vendo o la brucio, a casa non la porto mica.
Sergio Salomone