Fateci caso, ci sono cose che in alcune epoche e in alcune circostanze sono permesse o, addirittura, richieste, mentre in altre fanno storcere il naso.
Il rutto, per esempio.
Per gli antichi Romani era l’attestazione che il cibo aveva incontrato il pieno gradimento dell’ospite.
Oggi il sonoro apprezzamento è stato sostituito dall’espressione “complimenti alla cuoca” che, quanto a creatività, non regge minimamente il confronto.
Le mamme, poi, alla fine di ogni poppata, battono la mano sul dorso del bimbo e non smettono fino a quando il piccolo non ha fatto quel suono con la bocca.
E il peto?
Se fatto da un neonato che ha le coliche, è la gioia di tutto il parentado e, dopo un intervento chirurgico, è pure la tranquillità per il chirurgo che va al letto del paziente per informarsi che ne abbia fatti quanti più possibile per eliminare i gas addominali provocati dall’anestesia.
Nei secoli, con il prendere piede del bon ton -dicesi bon ton quella cosa per la quale tu maschietto devi cedere il passo alle donne, devi aprire loro la portiera della macchina e spostare la sedia quando si alzano per andare ad incipriarsi il naso; il tutto, siccome vogliono la parità, mentre assaggi per primo il vino per evitare che, nel caso sia una ciofeca, lei si rovini il palato e, sempre tu, mangi la prima fetta di formaggio, quella più secca- nei secoli, dicevamo, l’uno e l’altro, rutto e peto, sono diventati cose da evitare assolutamente.
Nonostante, come mi è capitato di leggere, una cantante brasiliana, tale Viviane de Queiroz Pereira, sia stata ricoverata in ospedale per avere trattenuto un peto per non disgustare il fidanzato del quale era in compagnia.
Per fortuna, però, arriva il momento che una ricerca scientifica mette le cose al posto giusto.
Uno studio dell’università di Exeter in Inghilterra ha appurato che l’odore dei peti (flatulenze nell’articolo), per quanto disgustoso, ha effetti benefici sulla prevenzione di malattie come l’ictus, il cancro, l’infarto e la demenza.
Inoltre, un lavoro di uno studente di ingegneria meccanica della Georgia Tech Research Institute, David Ancalle, afferma che dall’analisi del rumore dei peti (scorregge nell’articolo) attraverso uno strumento ideato da lui insieme con Maia Gatlin ingegnere aerospaziale si può risalire al tipo di disturbi di cui eventualmente si soffre.
Restiamo, dunque, in attesa che qualche industria farmaceutica imbottigli il prezioso profumo.
Nel frattempo non risultano analoghe scoperte relative ai rutti ma, se è vero che questi ultimi altro non sono che peti/flatulenze/scorregge che hanno preso l’ascensore, presto sentiremo buone notizie che li riguardano.
Perché, è risaputo, in natura nulla sì crea, nulla sì distrugge ma tutto si trasforma, come postulava Lavoisier che di gas se ne intendeva eccome.
Sergio Salomone