Per chi non abbia sentito parlare del Candido dirò brevemente che fu un settimanale umoristico e di satira politica fondato nel 1945 a Milano da Giovanni Mosca (padre di Maurizio e Paolo) e Giovannino Guareschi (padre dei personaggi di Don Camillo e Peppone), finito di stampare nel 1961 e poi riportato in tipografia da Giorgio Pisanó dal 1968 al 1992.

Nella sostanza, la satira era monotematica, anticomunista, cioè, e antisovietica e metteva in ridicolo i comportamenti degli iscritti al vecchio PCI -che lo stesso Guareschi nelle sue vignette dipingeva con tre narici, i trinaticiuti, appunto- che erano improntati all’ubbidienza cieca, pronta e assoluta ai diktat stampati sull’organo ufficiale del partito, l’Unità, e considerati vangelo.

La frase iniziale di ogni vignetta era: -Contrordine, compagni-
Era urlata da un compagno portaordini che dalla sede del partito sopraggiungeva trafelato e sbuffante per fermare gli altri che, a causa di un refuso stavano facendo qualcosa di esageratamente sbagliato.
Esempio: mentre tutti gli iscritti al partito stanno per lanciarsi da un ponte, arriva il citato inviato del comitato centrale che urla: -Contrordine, compagni.
La frase riportata su l’Unità “I compagni che non volano sono dei traditori” deve intendersi “I compagni che non votano sono dei traditori”.
Ecco, questo è il mood al quale voglio conformare l’odierna bruschetta”.
In sintesi.

Come è ormai di pubblico dominio, si sta svolgendo il processo contro Roberto Saviano per diffamazione ai danni di Giorgia Meloni alla quale ha dato della bastarda.
I maîtres á penser della sinistra subito si sono sperticati a chiedere che la Premièr(e) ritirasse la denuncia perché quello non è un insulto ma la libera espressione di un pensiero legittimamente critico.
Tra questi la più determinata è stata la scrittrice Michela Murgia alla quale Vittorio Feltri ha dedicato di recente un “pensierino” non molto dissimile.
Ha scritto che la Murgia è brutta come un orco.
E qui arriva il “contrordine, compagni”.
Su la Repubblica di oggi appare un articolo che stigmatizza il linguaggio di Feltri -per Repubblica famoso antifemminista- il quale avrebbe dovuto astenersi da un giudizio classificabile come body shaming.
E, allora, per uno come me che è bravo solo a fare i conti della serva, l’interrogativo è: non sarà che “questi” credono ancora (o fanno finta di credere) al detto creato ad arte per giustificare lo ius primae noctis che affermava che “il re non fa corna”?

Sergio Salomone