Il vice prefetto reggente l’ufficio della prefettura dell’isola d’Elba, Giovanni Daveti, 61 anni, e un membro di una famiglia della ‘ndrangheta attiva in Piemonte, Giuseppe Belfiore, sono stati arrestati nell’ambito di un’operazione condotta dai finanzieri del comando provinciale di Livorno e coordinata dal procuratore capo Ettore Squillace Greco. Altre sette persone sono finite agli arresti domiciliari. Eseguite decine di perquisizioni nelle province di Livorno, Torino, Asti, Padova, Ravenna Forlì, Pisa, Pistoia, Campobasso, Napoli, Salerno, Lecce e Brindisi.

I reati contestati, a vario titolo, sono associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale, porto abusivo di esplosivi (da impiegare per un atto di intimidazione nell’ambito di un regolamento di conti), contrabbando di nove tonnellate di sigarette, indebita compensazione di debiti tributari tramite fittizie compensazioni, illecita sottrazione al pagamento delle accise sugli alcoli, anche mediante falso in documenti pubblici informatici.

Belfiore è il fratello del mandante dell’omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia, avvenuto nel 1983. E risulta affiliato a una delle più note cosche di ‘ndrangheta operanti in Piemonte, nel centro-nord Italia e all’estero (soprattutto in Francia e Spagna). Le altre persone arrestate sono un commercialista torinese di 50 anni, due livornesi di 41 anni e 53 anni, tre persone originarie della provincia di Ravenna e un trentottenne di Trani, in provincia di Bari.

Isola d’Elba, il prefetto Manzone: “Noi estranei alle attività del mio vice”Secondo le indagini, condotte nell’ambito dell’inchiesta “Vicerè”, tutto ruotava intorno al viceprefetto Daveti e a Belfiore. Entrambi sono finiti in carcere con l’accusa di associazione a delinquere. L’inchiesta, che ha “consentito di rilevare l’attività illecita posta continuativamente in essere da un gruppo criminale, costituitosi a Livorno per commettere frodi fiscali”, sono scattate dopo un controllo per abusi edilizi all’isola d’Elba.

I finanzieri, indagando, hanno scoperto le presunte condotte illecite del viceprefetto, capo dell’ufficio distaccato della prefettura sull’isola, che risulta coinvolto “in plurimi contesti illeciti, comunque in alcun modo connessi con il ruolo e le funzioni istituzionali ricoperte”. In un episodio il viceprefetto Daveti, ritenendosi vittima di una truffa immobiliare, avrebbe pianificato con un amico livornese una ‘vendetta’, dando incarico a un complice di reperire l’esplosivo da usare contro la vettura di famiglia del suo presunto truffatore. Gli ordigni furono intercettati dai finanzieri il 16 novembre scordo vicino al porto livornese in un’auto con a bordo uno degli indagati, arrestato e ancora ai domiciliari: si trattava di quattro cariche confezionate in modo da essere fatte brillare a distanza con un telecomando.

Daveti, poi, avrebbe chiesto anche aiuto alla ‘ndrangheta per evadere il fisco. Dopo un accertamento tributario il prefetto aveva ricevuto cartelle esattoriali per 115 mila euro. E si era rivolto al pregiudicato Belfiore, affiliato alla ‘ndrangheta, per abbattere la pendenza debitoria sfruttando, in compensazione, inesistenti crediti Irpef creati ad arte e sfruttati per compilare i modelli unificati di pagamento F24.

Il sistema utilizzato, secondo gli inquirenti, “prevedeva il frazionamento dell’importo complessivo dovuto all’erario in somme di entità inferiore e, per ciascuna di tali frazioni, il ‘pagamento’ mediante un modello di versamento F24 recante la corresponsione materiale, attraverso il canale home banking, dell’irrisoria somma di un euro affiancata dalla fittizia compensazione di decine di migliaia di euro”.

Le indagini avrebbero accertato che queste compensazioni di cui ha beneficiato Daveti non erano un caso isolato, ma diffuse in tutta l’organizzazione che nel periodo 2016/2017 hanno consentito ad altri 7 soggetti di ottenere, con le stesse modalità, l’abbattimento delle proprie posizioni debitorie nei confronti del fisco, per un valore complessivo di circa un milione di euro. In un caso questo sistema ha avvantaggiato un’imprenditrice di Faenza (Ravenna), moglie di un membro della banda, per quasi 175 mila euro. Il sistema pianificato prevedeva il versamento, da parte dei soggetti intenzionati ad accedere all’indebita compensazione, di un importo pari al 22% del “beneficio” richiesto, quale compenso per il “servizio” ottenuto. A questo importo, secondo quanto ricostruito dalle fiamme gialle, si doveva, inoltre, aggiungere un ulteriore 8% a titolo di commissione da riconoscere a Daveti per il proprio ruolo di intermediario.

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