R. e P.
In questo momento di difficoltà in cui il tessuto sociale manifesta un equilibrio precario, la Chiesa come esprime la sua vicinanza alle comunità? Si mostra al fianco dei cittadini come un’unica Chiesa di Calabria?
Non esistono una Chiesa ed una comunità, ma una comunità che si fa Chiesa. E la pandemia, pur con le porte delle chiese socchiuse e le messe per ora celebrate streaming, ha fatto riscoprire la Chiesa che è in ogni casa. Vescovi e sacerdoti hanno svolto fino in fondo il proprio dovere, accompagnando la rinascita della fede che ha contraddistinto i giorni della paura, traendone il seme piantato nella primavera della speranza. Dio c’è: è nella preghiera intima, è in quella collettiva esercitata attraverso i canali del web, è “anche” nel rischio patito ogni giorno da chi ha salvato vite e mandato avanti città e paesi, in un’ottica ferma di libertà e di fede.
Opere concrete di sostegno e tempestive manifestazioni di solidarietà sono state le prime risposte della Chiesa di Calabria all’emergenza sanitaria. Come è stata organizzata la risposta ai bisogni sociali, da dove si è partiti?
Le nostre chiese stanno seguendo il criterio della gerarchia dei bisogni. Di qui le opere-segno più rilevanti, che esse hanno attivato anche grazie al sostegno dell’otto per mille, e alle libere donazioni che stiamo registrando. In particolare, si è partiti da quattro bisogni resi più acuti dalla pandemia: mensa, aiuti alimentari, accoglienze, lavoro. Contemporaneamente, alcune diocesi hanno messo a disposizione strutture proprie per ospitare i sanitari impegnati nella lotta al virus, mentre altre hanno effettuato donazioni in favore degli ospedali e, la Conferenza episcopale calabra ha donato tre ventilatori polmonari al Policlinico universitario di Germaneto. Insomma, pur nel silenzio del bene, tanto si è fatto e si sta facendo per lenire le ferite del male.
La comunità ecclesiale, in questo momento ancor più di altri, realizza le sue opere di carità attraverso le Caritas presenti in ogni diocesi. La missione delle Caritas sui territori oggi sta cambiando? Le sfide da affrontare sulla nostra regione sono sempre più difficili?
La Caritas è la via attraverso la quale trova realizzazione la dimensione agapica di tutta la Chiesa. In questo senso vive del contributo di ogni singolo fedele ed avvicina ogni bisognoso. La missione della Caritas sta cambiando perché stanno cambiando i bisogni della gente e la Chiesa si autopercepisce sempre di più come un ospedale da campo per curare i feriti, sollevare i caduti, ridare speranza a chi ora è disperato. Inoltre, la pandemia ci sta facendo conoscere i nuovi bisogni dei cosiddetti “invisibili”, cioè coloro che a casa non possono stare, … perché non ce l’hanno. Od anche chi non può neanche fruire di un sussidio perché non è censito né dalle aziende, né dai servizi sociali.
L’intero Paese e la Calabria si preparano a vivere la fase 2, durante la quale non sarà ancora possibile partecipare alle messe domenicali o celebrare i sacramenti. Qual è il suo pensiero riguardo alla ripresa delle celebrazioni liturgiche? Ha un messaggio da rivolgere ai fedeli calabresi?
Dio non va in quarantena. Se, in nome della salute pubblica, Vescovi e preti non potranno ancora radunare il popolo in chiesa, non smetteremo di “convocare” “chiese domestiche” e quelle dei luoghi di lavoro”. Dobbiamo essere creativi per evitare che Dio e la vita spirituale siano considerati un optional. Intanto, qualche giorno fa, il governo ha concesso ai credenti di celebrare i funerali, seppure con un numero ristretto di familiari (quindici) e usando tutte le precauzioni anticontagio. Nutriamo fiducia che presto saranno varati provvedimenti circa la piena ripresa del culto. Ascoltiamo lo Spirito ci dice papa Francesco: «Non rivoluziona la vita attorno a noi, ma cambia il nostro cuore; non ci libera di colpo dai problemi, ma ci libera dentro per affrontarli; non ci dà tutto subito, ma ci fa camminare fiduciosi, senza farci mai stancare della vita».