La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha chiesto il processo per i tre afghani coinvolti nell’inchiesta «Parepidemos» e accusati di favoreggiamento pluriaggravato dell’immigrazione clandestina e di esercizio abusivo dell’intermediazione finanziaria.
L’inchiesta ha preso il via nell’ottobre 2020 quando i carabinieri hanno notato un uomo che, con un furgone con targa francese, si trovava a Bova Marina nei pressi di un centro di accoglienza dove i migranti venivano tenuti in isolamento sanitario temporaneo per il Covid. Gli accertamenti successivi hanno consentito di registrare i movimenti dell’afghano che, dopo avere fatto salire a bordo 10 connazionali, ha percorso l’intero territorio nazionale. Prima di fare ingresso nel traforo del Frejus, però, ha lasciato i migranti in montagna a pochi chilometri dal confine. Subito dopo l’uomo è stato fermato dai carabinieri di Bardonecchia ed era l’unico occupante del mezzo. Sui sedili posteriori c’erano alcuni bagagli con pannolini e vestiti non appartenenti all’indagato. Il furgone, inoltre, era dotato di un vano creato ad hoc per nascondere le persone.
L’abbandono dei migranti, tra cui alcuni minori, in montagna, al freddo e alle intemperie, ha indotto la Procura a contestare anche le aggravanti di aver esposto le persone trasportate a pericolo per la loro vita. Dalle intercettazioni, inoltre, è emerso che per salvare i migranti abbandonati sulle Alpi l’indagato avrebbe preteso di essere pagato prima del viaggio. Le indagini hanno dimostrato quello che il gip ha definito «un sistema organizzato transnazionale che gestiva e assicurava l’ingresso clandestino e illegale di migranti in vari paesi europei». Ogni migrante avrebbe versato 1.500 euro agli indagati per il trasporto.