R. e P.

Una religiosità sui generis, la sua, mistica e personalissima, e un legame antico e profondo con il mondo ecclesiastico: fu un frate domenicano, Isnardo Bologni, giunto a Siderno in occasione della Pasqua del ‘44, a scoprirne il talento, rimanendo folgorato dalla statua lignea della Vergine scolpita da questo promettente diciassettenne e oggi collocata nella Chiesa della Madonna dell’Arco a Siderno. Prende l’abbrivio così la parabola artistica dello scultore Giuseppe Correale, che entra, con l’aiuto del religioso, nell’istituto della Madonnina del Grappa, a Firenze, e può intraprendere gli studi all’accademia, per poi continuare a perfezionarsi a New York. Molte le committenze religiose ricevute in Calabria, tra cui, famosissime, quelle del santuario di Polsi; con qualcuno dei rettori instaurò rapporti di stretta e duratura amicizia, come con padre Giosofatta Trimboli, di cui realizzò il busto esposto al museo del santuario, ultimato quando già la sua salute era compromessa.

Ma Peppe era anche un amante del mare e un abitudinario. Soleva alzarsi presto e lavorare nelle prime ore del mattino, per poi uscire, verso le undici, a concedersi una “pescata a surici” con gli amici di sempre: il professori Riccio, De Leo e altri con cui si rivedeva la sera, presso la libreria Gentile, consueto ritrovo del mondo intellettuale sidernese di allora.

Così, ricomponendo i vari frammenti raccolti, provo a ricostruire nella mia mente questa affascinante figura di artista, scoperta per caso; e vado mescolando le poche informazioni lette ai racconti di chi lo conobbe in prima persona, mentre il pulmino prosegue, inerpicandosi su per Pietra Cappa, attraverso corso Corrado Alvaro. La mattinata è iniziata presto, alle sei del mattino, per poter raggiungere Bovalino all’orario concordato con l’autista. Destinazione: Polsi, Santuario della Madonna della Montagna.

Cosa può spingere una turista ad affrontare un viaggio lungo e disagevole, attraverso strade dissestate, per raggiungere il cuore dimenticato dell’Aspromonte calabro? Avventata incoscienza, curiosità onnivora? Un urgente bisogno di riappropriarsi delle proprie radici, forse. E cosa spinge invece i molti calabresi a ripercorrere ritualmente, ogni anno la stessa strada, per raggiungere la stessa meta? Provo a interrogare qualche compagno di viaggio.

-Nei voti io non ci credo- afferma un uomo seduto dietro di me.

-E in cosa allora?-

-Credo in un’entità superiore a noi-

Le nostre parole si confondono con le canzoni dialettali inneggianti a Maria, sottofondo perenne al viaggio.

-Riuscite a trovare misticismo e raccoglimento nonostante il frastuono?-

Domando a due signore sedute davanti a me.

-Noi sì!- Rispondono sorridenti, e riprendono a intonare la loro canzone: “Ave Maria, Maria buongiorno, siti patrona di tutto lu mundu”.

Mi viene fame, nonostante le curve, e tiro fuori la colazione, iniziando a sbocconcellarla; ma non fino in fondo; mi sono ripromessa che almeno un suo frammento avrebbe visto il cielo di Polsi, e ora medito di lasciarne un altro pezzetto, a mo’ di “pane del perdono”; un po’ come Fra’ Cristoforo nei Promessi Sposi, affinchè, di questa strana esperienza, mi resti almeno un segno. Che poi, a ben pensarci, la vita è costellata di segnali, brandelli di senso disseminati dall’alto, che spesso ci passano accanto e che pure noi non vediamo né sentiamo, meteoriti silenziate dal frastuono del mondo.

Ma, ripensando al concatenarsi di eventi dei giorni precedenti, mi pare che essi finiscano per intrecciarsi in una trama precisa, delineando un disegno, recando con sé un messaggio da cogliere. A cominciare dall’incontro fortuito con chi conobbe di persona questo artista, che tante opere scolpì nella Siderno in cui mi trasferisco, da sempre, ogni estate: il portale della chiesa di Portosalvo, in cui mi battezzai a pochi mesi di vita; il Monumento ai marinai e la statua di San Francesco, sul quel lungomare dove imparai a muovere i primi passi. E poi l’inaspettata proposta di andare a visitare Polsi, il più importante santuario mariano calabrese, nel cuore dell’Aspromonte di cui tante volte mi raccontarono amici e parenti, senza far mai cenno alle opere ivi scolpite dal noto scultore sidernese.-Viva Maria, la bella Madonna, regina del mondo si deve chiamar…Madonna bella della montagna, comu non vidi ch’u mundi si lagna…A paci circamu, mia vergini bella, e tu allontana la  peste e la guerra –

Le canzoni mariane dialettali si mescolano alle immagini della “bella donna vestita di sole,” dell’Apocalisse che tanto mi ricorda “la Vergine bella di sol vestita, coronata di stelle”, della lirica con cui Petrarca conclude il suo Canzoniere. Così penso all’ascensione della Vergine, a quella del poeta al Mont Ventoux, ai pellegrini che stanno percorrendo a piedi la strada fino al santuario; e maledico questo pulmino, perchè avrei voluto “ascendere” anch’io, arrivare stremata dalla fatica. Proprio come a Santiago De Compostela, quando, costretta ad arrivare in macchina, mi struggevo di rimpianto, rosa di invidia per chi arrancava con le ossa rotte e le vesciche ai piedi.

Intanto il sole si è nascosto dietro ai rami dei faggi, due fitti cortei ai lati della strada. Ma ecco che  si riapre il paesaggio, si schiudono l’azzurro del cielo e le vallate di colli boscosi, mentre si sale, si sale ancora, e diventa più frizzante l’aria, più variegata la vegetazione: felci, pini, querce, tronchi nodosi dalle sfumature cangianti, una bagnatura d’argento e muschio dentro cui i miei occhi si smarriscono.

La strada procede in un saliscendi, tortuosa, a tratti sconnessa. Poi d’improvviso si scende, si scende al ritmo della musica: “Regina bella, regina amata, i tutti i ricchizzi vu sitii addubbata”.

Il monotono succedersi dei tronchi mi ipnotizza, la lentezza del procedere mi culla in una nenia vertiginosa e labirintica; chiudo gli occhi e piano piano mi addormento.

Mi risveglia solo la voce dell’autista :

-Potete scendere, dieci minuti di sosta!-

Montalto, 1950 metri, la cima maggiore dell’Aspromonte. La calura estiva è un lontano ricordo; qui  regna sovrano “u friscu  da’ montagna”.

Rianimata dall’aria pungente, sorseggio un rinfrancante caffè.

-Ogni annu promissi , poi nulla a’ manteninu; undi sunnu chisti finanziamenti, undi? Non vì chi strati?” Così un signore vicino a me.

-Bisogna insistere, fare rumore! Quando u populi no’ parla, u previti si marita”. Ribatte il suo compagno.-

-Signorina, che volete, qui a parole son bravi tutti, ma la mentalità è troppo individualista; ognuno bada al suo interesse; e lo Stato è distante. E allora, che dobbiamo fare?

Ripartiamo. E si scende, si scende ancora; il percorso si accorcia, la strada si restringe e  il convoglio delle vetture si allunga; spesso si è costretti a fermarsi per dare la precedenza, in due non si passa; il peggior traffico delle ore di punta nel cuore dell’Aspromonte costringe il pulmino a frequenti e snervanti soste. Scalpito sopra al sedile, ormai mancano tre chilometri. Mi alzo e avanzo decisa:

-Mi apra, l’ultimo pezzo lo faccio a piedi.

L’autista non è dell’idea.

-Ma ho fatto un voto!-

Ecco la formula magica che apre ogni porta: una piccola bugia, ma a fin di bene. Scendo e mi incammino, zigzagando tra la fila delle macchine in coda, stranita dal rumore dei clacson, dal rombo delle moto, dalla musica mariana, dal perenne vociare; intercetto qualche refolo d’aria resinosa, subito soffocata dallo smog delle vetture. Bancarelle lungo la strada a vendere rose, ceri, rosari, bandane con l’immagine mariana. Accelero, e i brevi tratti di strada silenziosa mi stordiscono quasi più dell’odioso rumore continuo, a cui vado via via assuefacendomi; e, assurdo a dirsi, riesco a trovare, in quel frastornante basso continuo, l’abisso di profondità sconosciute. Ne riemergo a tratti, per poi rituffarmi in quel silenzio rumoroso.

Ormai non manca molto: ecco il santuario, poche curve più sotto. Numerose le macchine e  le moto parcheggiate lungo la strada. Tanti i giovani, uno dei quali attira la mia curiosità per i colori sgargianti della maglietta, per la vistosità dei “gadgets mariani”.

-Ciao. Vieni spesso a Polsi?-

-Sì, tutti gli anni, da nove anni.

-E perchè?

-Perchè l’ho sognata; sì, ho sognato la Madonna.

-E hai fatto un voto?

-Anche, sì.

-Vu criditi?-Mi domanda a sua volta, sfoggiando un impeccabile bilinguismo.

-Ci sto provando-

-Provateci, ne vale la pena-

Procedo spedita, fino a raggiungere il grande piazzale, cercando con lo sguardo il resto del gruppo. Il pullman è già parcheggiato, ma dei passeggeri nemmeno l’ombra. Salgo fino ai cancelli del santuario, li varco, facendomi largo tra la calca, frastornata dal rombo dei quad e dagli schiamazzi. Ed eccolo, infine, coronato dalla sua bellissima cupoletta bizantina ad embrici, il santuario, in fondo a sinistra, quasi raccolto in un angolo della piazza.

(fine prima parte)

Livia Archinà