R. e P.
La storia insegna che i fatti non si possono cancellare, nel bene e nel male. E sono gli Spiriti luminosi a spostarsi in epoche diverse inseguendo la pace, turbata dall’odio e dagli orrori.
Si soffia sul fuoco delle tragedie, ma tutti piangono inorriditi i morti, causati da una strategia allunga durata, che agisce su piani paralleli: sociale, politico, filosofico, militare, perché le guerre si combattono attorno a centri di gravità, per conquistare e determinare la vittoria.
L’odio, con la sua rabbia, ferocia, collera, spietatezza nutrita di disgrazie, frustrazioni, offese umiliazioni, vere o presunte (le più tremende), impedisce di vedere la luce in fondo al tunnel. E,
mentre i “lupi” si nutrono di quello che trovano, bisognerà aspettare il cambio di passo per una evoluzione economica e politica. Professionisti della guerra, che studiano l’Occidente con
attenzione per fiaccarlo e sconfiggerlo, ingaggiando battaglie mentali. Intanto, nel nostro Paese, si riesumano gli orrori del passato, ricordando la storia dei nonni e dei genitori perché si affermi di non ripetere mai più gli errori del passato. Si vorrebbe commemorare un giorno che inorgoglisca gli italiani come una vittoria militare contro un nemico implacabile. Un tempo si festeggiava il IV novembre del 1918.
Si chiamava “Anniversario della Vittoria”, era un giorno di vacanza, e si ricordava il compimento dell’Unità d’Italia, la riconquista delle terre irridenti, com’erano dette, Trento e Trieste, che dall’Austria tornavano all’Italia. Da anni, Il 4 novembre è un giorno come uno qualsiasi, dedicato al “Giorno dell’Unità Nazionale” e alla “Giornata delle Forze Armate”.
La memoria ripercorre le gesta del Caporal Maggiore Ardito Giuseppe Sofia da Bovalino, del IX Reparto d’Assalto del Regio Esercito, decorato di MAVM, per aver combattuto da solo ininterrottamente su Col Fenilon e su Col Moschin, nonostante i suoi compagni fossero stati tutti uccisi, contribuendo alla fine e, quindi, alla “Vittoria” della prima guerra mondiale.
Festeggiare la “Vittoria” potrebbe essere contro lo spirito Ue, ma la “Grande Guerra”, combattuta dai ragazzi di ogni parte d’Italia e di qualsiasi orientamento politico, non potrà mai essere
cancellata: ci sono i morti. Il loro estremo sacrificio non è stato inutile e non può essere sminuito, limiterebbe la fierezza di quel successo militare a sole brutture e sangue che, pur ricercando una sorta di umanità nella guerra, ci sono stati.
Non è giusto imbruttire la storia, con le sue passioni e i suoi odi, grandezze e meschinità, per lusingare le generazioni a venire in un globo edulcorato e asettico, senza barriere né confini, senza
credo e senza sacrifici. Le giornate mondiali proclamate dalle Nazioni Unite propiziano il futuro ogni giorno dell’anno: Festa delle zone umide, Festa della pace, Festa della neve; Giornata contro il bullismo, per la vita, il risparmio energetico, l’acqua, la terra, la danza, la biodiversità.
Potrebbe essere un paganesimo di ritorno, panteismo spicciolo, trionfo dell’irrealtà contro la storia?
Ed è così che si diventa più poveri. Michel de Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà. Chi ha appreso a morire ha disimparato a servire. Il saper morire ci libera a ogni sudditanza e costrizione. La conclusione è un paradosso: si usa il ricordo per cancellare la memoria.
Cosimo Sframeli