Possiamo ricostruire un quadro sufficientemente  realistico della condotta morale dei fiorentini al tempo di Dante, sia dalle critiche dei moralisti e dei frati predicatori , che spesso dal pulpito si scagliavano conto i costumi corrotti o da ciò che hanno scritto i novellieri, ma anche da quanto dice Dante stesso. Ad esempio nel canto XXIII del Purgatorio(vv 94 -111), mette in bocca a Forese Donati poeta e amico di Dante un ‘aspra invettiva contro le donne fiorentine, accusate di essere più disoneste e spudorate di quelle selvagge della Barbagia di Sardegna. Ovviamente, per comprendere più a fondo ogni aspetto del passato , bisogna tener conto delle condizioni di vita del tempo. Spesso molte donne, ad esempio mogli di mercanti venivano lasciate sole per tutto il tempo che duravano i lunghi e ripetuti viaggi anche all’estero del marito, non di rado rassegnato all’inevitabile infedeltà della moglie .qualche volta l’affidava ad un amico che magari si trasformava in amante. L’infedeltà ovviamente riguardava anche i mariti .
Fra Giordano da Rivalto , in una predica tenuta nella chiesa di santa Maria Novella nel giorno di san Domenico nel 1303 , si lamenta del fatto che su cento uomini sposati , a stento ve ne fosse uno che non si macchiasse del peccato d’adulterio; si scaglia anche conto le giovani colpevoli quasi tutte di non conservare la propria verginità fino al matrimonio . Del resto il quadro che emerge anche dalle novelle del del Decameron di Giovanni Boccaccio ,è quello di una notevole libertà sessuale e di una ricerca del piacere senza troppe remore morali. Non erano sufficienti le interpretazioni provvidenzialistiche delle calamità naturali per far ravvedere i peccatori. Giovanni Villani, uno dei più noti cronisti di tale epoca imputa alla licenziosità dei costumi l’inondazione dell’Arno del 1333. Allo stesso modo venivano considerate le pestilenze ,punizioni divine. Anche la prostituzione era molto diffusa , nonostante i divieti e le pene severissime ,quali la fustigazione in pubblico o addirittura, in caso di ricaduta ,la marchiatura a fuoco sulla guancia destra .C’è da dire a parziale scusante, che spesso l’esercizio di tale mestiere era dettato dalle estreme condizioni di povertà –
Verso 56  ” che libito fè lecito in sua legge”
Libito significa ciò che piace , voglia , capriccio . La parola , nel verso dantesco , ha un particolare rilievo semantico , rafforzata com’è dalla paronomasia con licito , che lega oltre che due termini affini per suoni , anche due parole sdrucciole , Ricorre un ‘altra volta nella Commedia , in Paradiso XXXI, v 42 . Cosi si esprime Dante , Nell’Empireo , di fronte alla candida rosa dei beati e degli angeli , che fanno la spola fra quelli e Dio per celebrarne la gloria . Il vocabolo in questione  deriva dal latino libitum , participio passato del verbo libère ( piacere) . Una locuzione , sebbene non molto frequente , rimasta nella lingua attuale è ” a libito” cioè a piacere a volontà , oppure la corrispondente forma latina ad libitum , con lo stesso significato . Alla stessa famiglia appartiene “libidine” , desiderio incontrollato di piaceri sessuali, lussuria, e l’aggettivo “libidinoso ” , cioè dominato da una sessualità smodata, ( sempre derivanti dallo stesso verbo latino libère). Grande fortuna ha avuto a partire dal Novecento il termine latino libìdo ( caso nominativo) , che nella lingua italiana si è affiancato a libidine , derivato , come  avviene usualmente , dal caso accusativo latino , libidem , ma con una sfumatura diversa. E’ infatti un termine della psicanalisi , la scienza che analizza i contenuti e i processi dell’inconscio ( come i sogni o i lapsus o le fobie) fondata dallo psichiatra e psicologo austriaco Sigmund Freud (1856-1938) . Egli intese la libido come l’insieme degli impulsi sessuali che sono la manifestazione stessa della vitalità dell’individuo e assicurano la sopravvivenza della specie. Questa pulsione sessuale , innata e irreprimibile , alla stregua degli altri bisogni primari dell’uomo , quali quello della fame o della sete, è pero contrastata da un altro istinto volto alla distruzione di ciò  che e vitale. L’individuo è cosi combattuto tra l’istinto erotico di conservazione( eros) e quello opposto , autodistruttivo , di morte. Thànatos).
Professore Vincenzo Bruzzaniti