Nel giorno in cui tutti, indistintamente, siamo chiamati al ricordo di quell’evento di proporzioni tragicamente gigantesche quale fu l’Olocausto – lo sterminio perpetrato con crudele lucidità dalla Germania nazista nei confronti di quasi sei milioni di ebrei e di qualche milione di zingari, omosessuali, oppositori politici, nel corso della seconda guerra mondiale – il Circolo del Partito democratico di Siderno vuole evidenziare quanto, spesso, cultura e letteratura possano diventare strumento di difesa della dignità umana, soprattutto quando essa viene ripetutamente e brutalmente calpestata.
Accade così che, nel corso di un’esperienza incredibilmente tragica, come quella raccontata da Primo Levi in Se questo è un uomo – pubblicato nel 1947, subito dopo la fine della guerra ̶ Dante e Ulisse facciano capolino in una lezione di italiano improvvisata ad un compagno di prigionia.
Nel viaggio a piedi di andata e ritorno per andare a ritirare il rancio, Levi avrebbe fatto da aiutante a Jean, un giovane alsaziano che desidera imparare l’italiano. E cosa viene in mente al prigioniero italiano, in un campo di concentramento nazista? In un sussulto di dignità, la mente vola lontano, e ricorda alcuni versi del XXVI canto dell’Inferno dantesco: il canto di Ulisse, appunto.
È quasi una sofferenza, in realtà, ripensare all’anelito di libertà del personaggio omerico e al mare. E’ proprio la brutalità dello sterminio senza precedenti a richiamare i versi danteschi come forma di riscatto. Levi recita Dante per Jean, ma anche per se stesso. Recita Dante per tutti i prigionieri del Lager, e per tutti i prigionieri di tutti i Lager. Per tutti gli uomini. Anche per i nazisti. Per ricordare cosa sia davvero l’uomo, quale sia la sua “semenza”, la sua vera natura.
Alcuni versi, quelli in cui più forte è l’aspirazione alla libertà, Levi non li dimentica affatto: “Ma misi me per l’alto mare aperto” e “acciò che l’uom più oltre non si metta”sono tra i pochi versi che il prigioniero italiano ricorda con esattezza. La dignità oppressa si rifugia in Dante e nelle parole di Ulisse per sfuggire al proprio destino di prigionia e di morte. Se l’uomo non può rompere i lacci fisici che lo imprigionano, può sempre disfarsi dei lacci della mente, e diventare uno spirito libero.
Il messaggio è quanto mai attuale: per quanto l’esperienza possa abbrutirlo, per quanto possa calpestarne la dignità, per quanto lontana sia la libertà, l’uomo è virtù e conoscenza, l’uomo è fatto per rompere i vincoli, non per rimanerne imprigionato.
La sofferenza inflitta dai Lager nazisti allora così come, oggi, gli attentati terroristici, la tragica fine di Giulio Regeni, la riduzione in schiavitù, lo sfruttamento personale, le discriminazioni, le intimidazioni mafiose sono indicibili perché minano all’umanità di ognuno, ostacolano la sete di libertà, la razionalità e la spiritualità dell’uomo, rendendolo un bruto.
Eppure Levi, ormai completamente spogliato della propria umanità, recita ancora con trasporto i versi danteschi, e continua a coglierne il messaggio profondo. C’è ancora un briciolo di dignità che scalpita, che non vuole morire e che si rifugia nella letteratura.
Il contributo che oggi il Circolo vuole dare è quello della speranza, quella che passa attraverso la conoscenza e la testimonianza. Lo scopo del lager è l’annientamento dell’uomo, che prima di morire deve essere degradato in modo che si possa dire, quando morrà, che non era un uomo …
Ciò nonostante Levi ci insegna, attraverso la sua testimonianza e l’elogio alla letteratura, quanto sia ancora possibile scommettere sull’uomo…
“Meditate che questo è stato”