MESSINA – Se dietro un’immagine non c’è un grande contenuto, il sogno è destinato a svanire presto. Costa Smeralda, la nave ammiraglia di Costa Crociere, emblema del design italiano e della innovazione sostenibile, approda a Messina battendo la bandiera più rappresentativa dell’arte pasticciera del nostro Paese: quella del panettone che, grazie a Fausto Morabito Carioti, riesce a coniugare tradizione e innovazione in un universo di sapori e colori che, chiudendo gli occhi, risvegliano le emozioni custodite nella nostra galleria dei ricordi o ci proiettano in universi del piacere finora sconosciuti.
Per questo la sesta edizione di “Panettone senza confini”, che annovera a bordo i nomi più illustri della pasticceria internazionale, fa da cornice a questa sfida a colpi di gusto finalizzata a far conoscere, attraverso un viaggio affascinante, le diverse declinazioni del panettone grazie al “maestro dei maestri” Iginio Massari, ai numeri uno di Francia e Spagna, Thierry Bamas e Paco Torreblanca, ad Achille Zoia, maestro degli impasti e “padre” del panettone moderno, a Riccardo Bellaera (corporate chef pastry & chef baker di Costa Crociere), Antonio Brizzi (corporate executive chef di Costa Crociere), Vittorio Santoro (presidente e direttore di Cast Alimenti), Davide Malizia (campione del mondo di zucchero artistico) e con il campione del mondo di gelateria Eugenio Morrone.
Un viaggio non solo educazionale e commerciale, ma anche solidale, considerato che, fin dal suo esordio, buona parte del ricavato degli sponsor viene destinato all’Associazione Sterterprius, che si occupa della scolarizzazione dei bambini siriani.
E mentre il sole fa capolino dalle colline di Reggio Calabria, città natale di Fausto Morabito, l’anfitrione di “Panettone senza confini”, tra l’altro attore teatrale e strepitoso interprete di numerosi scherzi delle Iene, non può certo sottrarsi all’intervista di un suo amico d’infanzia che ne approfitta per un tuffo nel passato di quella città, per entrambi così vicina e così lontana, gelosamente custodita nel cuore, ma maledettamente distante nella mente.
Esperto di food, Fausto Morabito affonda i suoi ricordi nella cucina di casa, una palazzina signorile del rione Sbarre, negli anni caldi della Rivolta di Reggio Calabria: il padre Pietro, maestro alle scuole elementari “Pasquale Galluppi” che, tornato a casa, «spadellava a pranzo e a cena – ricorda Morabito – due, tre o quattro varianti per una moglie (Pina) molto esigente e tre figli (io, Marinella e Ninenzo) molto capricciosi», soprattutto quando toccava andarli a cercare all’oratorio dell’Itria; «Pina, mia madre, si occupava invece dei pranzi domenicali e delle festività; zia Ciccilla, donna d’altri tempi, mi ha invece fatto conoscere ed apprezzare la pasta e il pane fatti in casa; così come ha fatto zio Enzo per il vino, grazie al suo “Palizzi” rosso».
«In casa nostra, come in quelle di numerose famiglie meridionali, il cibo – spiega Fausto – riveste un ruolo centrale e si manifesta in tutti i suoi aspetti. Nella tradizione di ogni domenica persiste ancora l’usanza di tornare a casa con la “guantiera” colma di abbondanti pasticcini per concludere trionfalmente il pranzo. Su queste basi, sulla diversità del rapporto con il dolce, la diversa estetica, carica di zuccheri, il trasferimento a Brescia mi ha portato a rivedere anche l’approccio con la materia dolci offrendomi un’altra chiave di lettura. Non nascondo che, per anni, ho continuato a produrre in casa creme, bignè, cannoli, nel disperato tentativo di ritrovare e mantenere vivi i sapori dell’infanzia in un sorta di ideale abbraccio con la mia famiglia che, tranne mia sorella, non ho più. Ma il tempo e l’incontro con l’alta pasticceria, quella che fa della qualità degli ingredienti e del rispetto del cliente ragioni imprescindibili, sono stati la chiave che mi ha proiettato verso nuovi orizzonti».
Come per tanti figli del Sud, costretti a lasciare la loro terra in cerca di fortuna, con un biglietto di sola andata, anche per Fausto lasciare Reggio è stata una scelta: «Ben precisa. Per ragioni climatiche e sociali. L’essere sempre in viaggio, sia mentalmente che fisicamente, non può che aprire gli orizzonti e farti scoprire quali valori delle tue origini siamo veramente importanti e quali, invece, siano una sterile eredità di cui non si ha una visione piena. Non per sembrare ridondante, ma il “senza confini”, che ho scelto per il concorso, serve a sottolineare che non dev’esserci mai un limite, perché solo dagli incontri e dalle svolte si migliora, quindi dalla conoscenza e dalla prospettiva che non vedremo se non gireremo l’angolo di quell’incrocio che può essere il nostro luogo di origine, la nostra nazione e perché no, il continente in cui siamo nati».
“Panettone senza confini” è la straordinaria tappa di un percorso…
«La molla per la pasticceria – ricorda Morabito – è scattata da un incontro. Da blogger – cura Chezmoibyfausto.it – e gourmet amante della buona tavola ho avuto un incontro con un famoso maestro a Milano che mi ha lasciato l’amaro in bocca non per la qualità dei prodotti percepita, ma per un entourage da prima donna. Al mio rientro a Brescia ho pensato di verificare se anche il maestro Iginio Massari fosse inavvicinabile e, con sommo piacere, mi sono reso conto della sua immediata disponibilità che mi ha permesso di scoprirne non solo le abilità pasticciere, ma le qualità umane e l’infinita disponibilità.
Mostrandomi sfaccettature del mondo della pasticceria che mi hanno letteralmente ammaliato, il “maestro dei maestri” mi ha fatto capire che pasticciere è definibile colui che vende prodotti, magari surgelati e solo finiti in laboratorio, ma anche e soprattutto colui che, ogni giorno, si alza alle 3 del mattino per realizzare autentiche opere d’arte partendo da ingredienti di altissima qualità e trascorrendo l’intera giornata in laboratorio per occuparsi personalmente di tutto: dalla gestione del lievito madre alla chiusura del locale.
Questo è il mondo della pasticceria nella sua accezione più nobile, quello che mi ha stregato, che mi ha fatto credere che la fantasia, la creatività e la curiosità (oltre che l’immancabile amore per il cibo), siano condizioni essenziali per la riuscita di un piatto da ricordare. Per me non esiste la ricetta perfetta, ma innumerevoli varianti che possono arricchirla e completarla. È il motivo per cui penso che gli ingredienti e le dosi siano “relative” e la manualità e la voglia di sperimentare, in base alle esperienze personali, sono condizione essenziale perché il “piatto” diventi “tuo” e si evolva con te».
L’idea di dare vita a “Panettone senza confini” si deve, invece, a un incontro casuale «con una persona che oggi non è più accanto a me, per una scelta personale. Mi ha portato a Palazzo Caracciolo, a Napoli, rivelandomi un chiostro che mi ha immediatamente fatto pensare a un evento di prestigio comparabile all’importanza del grande lievitato per eccellenza.
Da questa esperienza iniziale, che ha preceduto quelle di Reggio Calabria, Brescia, Palermo e Montichiari, grazie alla presenza costante di Iginio Massari è nata l’idea di trasformarlo in un evento annuale itinerante che servisse sia a far conoscere il panettone che a far crescere i partecipanti che hanno, così, la possibilità di mostrare le loro capacità».
Con l’edizione 2021, “Panettone senza confini” ha allargato i propri orizzonti a Francia e Spagna… «Normalmente – spiega Morabito – lo spirito che ha animato le cinque edizioni precedenti è stato condividere il panettone artigianale in territori normalmente esclusi dalle grandi manifestazioni. La valenza dell’essere itinerante permette, infatti, di superare i confini. In questa occasione, sposando il motto di Costa Crociere “orizzonti senza confini”, abbiano superato i confini nazionali regalando ai crocieristi storie di vita professionali e intime dei grandi maestri che si sono seduti al tavolo della giuria rivelando non solo i segreti della lievitazione e del panettone, ma anche quelli che hanno marcato il loro indirizzo professionale».
È tempo di ringraziamenti: «Il primo grazie di “Panettone senza confini” va a Costa Crociere perché i nuovi orizzonti si raggiungono credendo in iniziative diverse da ogni logica; il secondo a tutti i maestri che, sedendo al tavolo della giuria, hanno abbandonato per una settimana laboratori o scuole per dare valore ad un prodotto identitario come il panettone. Poi non posso che ringraziare le tante persone che, attraverso i social, seguono da sei anni questo evento e ci chiedono di portarlo nelle loro zone.
Per ultima voglio ringraziare l’associazione Starterprius, che mi ha permesso di dare un senso sociale a un evento che parla di dolci non soltanto da un punto di vista vorace, ma anche dei sentimenti. Nasce in un periodo in cui Damasco e tutta la Siria hanno provato cosa significhi essere in guerra, che non conosce epoche e che lascia vittime non soltanto da un punto di vista fisico, ma anche da quello generazionale. Il diritto allo studio di generazioni di bambini che non avranno alcuna possibilità di essere preparati ad affrontare la vita è una delle cause principali per indurli su strade tortuose.
Per questo riuscire a creare i presupposti per insegnare loro ad affrontare il mondo con i giusti strumenti è un valore che non viene spesso percepito, ma ha una rilevanza fondamentale».
Una manifestazione, dunque, con molte sfaccettature: «Sì, in doppia o tripla veste. Intanto educazionale per i pasticceri, che hanno la possibilità di ricevere un giudizio ai massimi livelli per poter fare crescere qualitativamente il proprio prodotto; la seconda indubbiamente commerciale, visto che alcuni nomi che si sono distinti nei vari anni si sono affermati a pieno titolo nel mondo dei lievitati (per fare un esempio su tutti, a Reggio Calabria, l’avellinese Vincenzo Tiri ha fatto incetta di premi e oggi è diventato un punto di riferimento in tutta Italia); il terzo è solidale visto che destiniamo buona parte dei proventi degli sponsor all’associazione alla quale i pasticcieri partecipanti inviano ogni anno un discreto numero di panettoni da vendere per proseguire la raccolta di fondi da destinare a Sterterprius».
Il dibattito è sempre aperto: pasticciere o pasticcere? «Indubbiamente, non affrontando il problema dal punto di vista etimologico e sintattico, pasticciere è molto contestualizzato in un’area geografica, soprattutto nel Sud, ma posso dire senza tema di dubbio che anche tra le nuove leve e nel Nord Italia rimanga il termine preferito rispetto a pasticcere. Etimologicamente il primo termine mi avvicina di più all’idea di pasticcio, mentre il secondo mi dà più l’idea di pasticceria, ma in fondo una i non fa la differenza. Io non uso la i, ma rispetto la sensibilità dell’interlocutore. Del resto, una i non si nega a nessuno».
Nell’era dell’ostentazione dell’immagine spesso non supportata dai contenuti, del “tutto e subito”, del miraggio del guadagno facile, quanto la tecnologia rischia di ingenerare nelle nuove generazioni l’idea che basta un click per affermarsi professionalmente? Che non sia necessario dedicare anni di studio e pratica, con passione e sacrificio, per acquisire conoscenze e abilità che nessuna macchina sarà mai in grado di fare?
«È il problema che si riscontra quotidianamente nelle grandi scuole professionali come Cast Alimenti, la scuola di alta formazione dei maestri del gusto, degnamente rappresentata dal direttore Vittorio Santoro, che sulla Costa Smeralda è componente di giuria. Il primo step è far comprendere ai nuovi iscritti che l’arte pasticciera non è quella tutta lustrini e paillettes delle star televisive, ma studio impegno professionale e formazione. La tecnologia non ha la capacità di essere indirizzata se non si conoscono gli elementi di base che ci permettono di sfruttarne le potenzialità. È evidente che viviamo un’epoca in cui l’immagine ha una grande rilevanza, ma se non c’è dietro un grande contenuto, il sogno è destinato a svanire presto».
Salpata venerdì da Civitavecchia, la nave che ospita la manifestazione patrocinata da Giornalisti Italia, dopo sei giorni di navigazione, con tappe a Savona, Marsiglia, Barcellona e Palma di Maiorca, lascia anche Messina. Ultima notte di navigazione prima del gran finale di domani a Civitavecchia. E nello Stretto, in quello specchio di mare che la separa appena tre chilometri da Reggio Calabria, per un attimo il dolce cede il posto all’amaro ed il pensiero corre alla Fata Morgana, che fa brutti scherzi non solo a chi non è attrezzato culturalmente, ma a chi si fa sedurre dal canto delle sirene. Tra Scilla e Cariddi, comunque, c’è sempre l’opportunità di scegliere il minore dei mali. C’est la vie… (giornalistitalia.it)
Carlo Parisi