«L’ho scoperto a sette anni. I miei mi avevano portato a fare una visita in un comune chiamato, pensa tu, Ardore. Si erano accorti che qualcosa non andava, dall’occhio sinistro non vedevo». Un racconto senza filtri quello che Vincenzo Mollica, popolare giornalista del Tg1 con origini reggine, ha rilasciato sul Corriere della Sera a Walter Veltroni. Mollica che da diversi anni convive con una malattia, ricordando la circostanza in cui la scoprì, in uno studio medico della Locride. «Io rimasi nella sala d’attesa, ad origliare – ha detto – Sentii distintamente: “Devo dirvi che vostro figlio diventerà cieco”. Loro erano scioccati e non mi riferirono nulla. Io andai a casa e cercai quella parola sul vocabolario. Ma non avevo bisogno, bastava che chiudessi l’occhio destro e precipitavo nel buio».

Mollica ha ricordato la sua infanzia trascorsa con la famiglia nella Locride. «In Calabria, a Motticella, vicino a Brancaleone, ho fatto gli studi – le sue parole – Lì, da ragazzo, avevo una stanza in cui c’era un piccolo registratore Geloso, tanti vinili, i libri di poesia e di teatro pubblicati dalla Einaudi. Divoravo Eduardo e Brecht. Mi appassionai ai gialli di Maigret. La tv cominciava al pomeriggio, con la tv dei ragazzi. Rin Tin Tin, Ivanhoe, Zorro, I Forti di Forte Coraggio, Bonanza. La mia vita bambina cominciava a nutrirsi di storie, di personaggi, di fantasie. Vidi Biancaneve, che mi colpì tanto, e i film di Don Camillo e Peppone. E poi mi persi nelle Cantate dei giorni pari e dei giorni dispari di Eduardo De Filippo e soprattutto nei Fratelli Karamazov, un romanzo in cui trovi risposte per ogni domanda della vita». Nel suo lungo racconto anche il periodo scolare. «Nel mio paese, in Calabria, c’era una sola aula in cui si facevano tutte insieme le classi delle elementari – ha detto Mollica – In quarta il maestro mi corresse un tema. Io avevo scritto, non per caso, le parole “la radio” e lui l’aveva corretta in “l’aradio” e poi mi aveva messo un segno rosso vicino alla parola “duomo” correggendola con “d’uomo”. A quel punto mio padre mi ritirò e finii dai salesiani. Poi il classico a Locri e l’università alla Cattolica di Milano».

Il giornalista era amante sin da ragazzo soprattutto di fumetti e cinema. «Mio padre aveva capito che la mia passione erano i fumetti. E allora mi portava a Bovalino, dove c’era un’edicola e mi riempivo le mani di Braccio di Ferro, Cucciolo e Beppe, Tiramolla, Topolino, l’Intrepido, Il Monello, Il Corriere dei Piccoli. Anche grazie a lui, in fondo, anni dopo sono persino diventato un personaggio di Topolino, Vincenzo Paperica».

fonte: Ilario Balì – https://www.ilreggino.it/