Nel 1979 (ovvero quando io avevo 2 anni) dopo l’ultima casa di Sant’Agata del Bianco veniva costruita, in cemento armato, la struttura dell’impianto di depurazione. Con il passare del tempo, l’opera non entrerà mai in funzione. Non esiste, quasi. Si avvicenderanno sindaci, commissari prefettizi e ancora sindaci. Nemmeno un sopralluogo, nessuno si pone il problema di questa costruzione fatiscente. Intanto, buona parte del paese viene collegata al depuratore di Caraffa del Bianco (comune limitrofo). Ma il 6 giugno 2016 avviene qualcosa di nuovo. Una lista composta esclusivamente da giovani (mai candidati) vince le elezioni (proprio a Sant’Agata del Bianco) e, di conseguenza, io divento sindaco. Si verifica, così, da subito, una strana fatalità: a luglio, per la prima volta dal 1979, il personale della Guardia Costiera esegue un controllo del depuratore che dà inizio a una serie di indagini che riguarderanno il sindaco (cioè me) e il responsabile dell’area tecnica. E poi diciamo che lo Stato è assente! Nel frattempo la nuova amministrazione segnala, con un comunicato stampa, la situazione che ha ereditato. Ma non solo. Chiede un incontro con l’Assessore all’Ambiente della Regione Calabria e presenta un progetto per la costruzione del famigerato depuratore. Tuttavia, il 15 marzo 2017 mi viene notificata, da parte della Procura della Repubblica, una richiesta di proroga di sei mesi del termine per le indagini preliminari (scopro, così, che l’iscrizione del reato, di cui all’art. 137 co. 6 DLgs 152/06 – 734 CP, è avvenuta il 05/08/2016) dove si avvisa che “l’indagato ha facoltà di presentare memorie entro cinque giorni dalla presente notificazione”. Cioè io dovrei sostenere che, essendo stato eletto a giugno 2016, a luglio 2016 non sono riuscito ad attivare un depuratore mai entrato in funzione dal 1979. Insomma, per un nuovo sindaco è uno “scheletro nell’armadio” che ben si adatta al film L’Ora Legale del duo Ficarra e Picone. Al di là delle considerazioni circa le difficoltà di amministrare in Calabria, dove, proprio come nel film L’Ora Legale, chi ha l’ambizione alta e nobile di cambiare, dopo anni e anni di malgoverno, rischia davvero di avere contro un po’ tutti (dal prete alle forze dell’ordine), in questi mesi ho capito alcune cose. La prima è che è più conveniente essere furbi che onesti (secondo un pensiero molto diffuso). Poi, che l’integrità morale, la correttezza, non sempre è accolta favorevolmente (“mi piace se non mi tocca, se non varia i miei privilegi”). Infine, che rompere gli schemi, nella realtà politica e sociale della nostra terra, è complicato, rivoluzionario, e ci vuole coraggio, in un ambiente dove, a proposito di pellicole cinematografiche, spopolano i Cetto La Qualunque (alcuni personaggi, nei manifesti elettorali, hanno la stessa posa e, nei Consigli comunali, la stessa faccia tosta). Insomma, si rischia con tutti. E, paradossalmente, non è semplice apprezzare chi si mette in gioco per amore del proprio paese (esercitando quella che un bravo antropologo definisce “l’arte della restanza”). E’ più facile chiedersi come sia stato possibile vincere le elezioni con uno scarto di voti così consistente. Il fuoco incrociato del sospetto si innesca senza preavviso. Eppure è sempre il popolo a scegliere (a patto che, per dirla con J. London, non sia “sprofondato nell’abisso”). Perché, se i cittadini vogliono cambiare, tutto può accadere, anche dove ci vogliono far credere che la normalità è impossibile e che gli idealisti sono sempre vittime delle perfide contrarietà del mondo. Intanto una domanda mi insegue da tempo: è più colpevole un sindaco che in un mese non riesce a realizzare un depuratore (ma a luglio confesso che dovevo ancora capire che ero stato eletto) o uno Stato che, per 37 anni, non ha effettuato nessun controllo e, quindi, ha disconosciuto (o ha fatto finta di disconoscere) il problema? Ai posteri l’ardua sentenza, sperando che, in futuro, le situazioni del film L’Ora Legale si possano rivivere solo in tv.
DOMENICO STRANIERI