R. e P.
Sono sempre più numerosi i comuni del sud in dissesto. Storie che si ripetono negli anni senza che vi sia una reale soluzione in grado di superare le difficoltà evidenti in cui si trovano gli enti locali. A creare ulteriore scompiglio è l’inspiegabile schizofrenia normativa degli ultimi anni alterata, anche, da sentenze della Corte Costituzionale e dalla Corte dei Conti che hanno cassato provvedimenti appena introdotti dai vari governi per superare le difficoltà economiche dei comuni.
L’impostazione data con l’armonizzazione dei bilanci nel 2015 ha di fatto segnato uno spartiacque fondamentale nella gestione economico-finanziaria degli enti locali. La liquidità di cassa e quindi la capacità di riscossione degli enti locali è diventata essenziale per una corretta gestione amministrativa. Attraverso l’introduzione del fondo credito dubbia esigibilità e del fondo di garanzia per i debiti commerciali si è voluta limitare la capacità di spesa corrente per quei comuni che non riescono ad incassare le entrate previste nei bilanci di previsioni. Semplificando: puoi spendere solo i soldi che hai in cassa, a patto che tu abbia già saldato tutti i tuoi debiti. Un meccanismo comprensibile ma certamente iniquo e non risolutivo.
Il riferimento è alla capacità di riscossione dei comuni del sud e al conseguente impatto dei fondi sulla spesa corrente. Come si può pensare che la mancata riscossione dei comuni del sud sia imputabile esclusivamente alla capacità degli uffici tributi degli enti locali? Non è forse vero che tra le città del sud e quelle del nord ci sono migliaia di euro di distanza nel reddito medio pro capite? Sicuramente gli amministratori locali hanno delle responsabilità, ma negare le difficoltà dei cittadini del sud a pagare i tributi locali significa agire contro il principio di solidarietà sancito dalla Costituzione. Non si può limitare la capacità di spesa dei comuni con un fondo crediti dubbia esigibilità che non tenga conto delle condizioni sociali ed economiche delle comunità coinvolte nei processi di riscossione tributaria. Vanno bene i fondi, a patto che siano compensati con una perequazione statale che garantisca una copertura seppur parziale dei mancati incassi causati dalla condizione economica delle comunità meridionali.
Anche per ciò che concerne i trasferimenti ai comuni per i servizi fondamentali occorrerebbe rivedere totalmente il sistema di attribuzione delle risorse fin qui basato sulla spesa storica in contrasto al principio perequativo sancito dalla Costituzione. Seguendo questo metodo ad essere penalizzati sono propri quei territori che per problemi infrastrutturali ed economici sono storicamente in difficoltà. Basare i finanziamenti su ciò che hanno già i comuni, e non su ciò che dovrebbero avere in ragione della loro popolazione, significa arricchire i più ricchi e far crollare quelli più poveri. Soprattutto in un Paese dove non sono ancora stati definiti i fabbisogni standard che dovrebbero essere l’unico riferimento essenziale per la distribuzione delle risorse.
Serve quindi un patto tra lo Stato e i comuni del sud, che da un lato compensi le mancate riscossioni per difficoltà sociali attraverso un fondo perequativo e dall’altro affronti in maniera definitiva il problema sempre attuale della distribuzione delle risorse basata sulla spesa storica. Continuando in questa direzione si avranno solo centinaia di comuni default e sempre meno servizi per la comunità. E si capisce da tutto ciò perché siano sempre di meno coloro che sognano di fare i sindaci, soprattutto al sud.
ORLANDINO GRECO
SEGRETARIO FEDERALE ITALIA DEL MERIDIONE