Locri. Il Procuratore della Repubblica Nicola Gratteri, presso la Corte del Palazzo di Città, presenta il suo ultimo lavoro, scritto a quattro mani con Antonio Nicaso, storico delle organizzazioni criminale e esperto di ‘ndrangheta. Due calabresi doc che illustrano come le mafie stiano imparando a sfruttare le potenzialità della tecnologia, dimostrando una flessibilità ed un adattamento con i tempi che, al contrario, la macchina pubblica tarda ad accettare e conoscere. Oggi le armi delle mafie sono hardware e software sofisticati, protetti dall’anonimato che lo spazio digitale offre. Il libro edito da Mondadori, come illustrato nella scheda di presentazione, descrive il processo di ibridazione della ‘ndrangheta, come il mitologico grifone, che incarna al contempo «valori» tradizionali e nuove istanze, rendendo sempre più fluidi i confini tra legalità e illegalità.
La serata incomincia con i saluti del Sindaco della Città di Locri Giuseppe Fontana, che conclude sottolineando il bisogno di:” continuare a parlare nei laboratori di vita che sono le scuole […] per arrivare a quella libertà che la mia generazione non ha avuto”.
Gratteri racconta le fasi iniziali di quando, assieme a Nicaso, cominciavano a pensare allo sviluppo del libro dicendo:” Abbiamo immaginato il futuro e mentre immaginavamo questo futuro, ogni tanto, ci dicevamo forse stiamo esagerando, forse non è così, stiamo andando troppo di fantasia”. Gli autori, partendo dal dark-web, spazio virtuale dove non vi è confine tra lecito e illecito, cominciava a dare forma allo scheletro dei capitoli e, passo dopo passo, quella idea di esagerazione appariva sempre più verosimile, diventando contemporanea. Preso atto di questa nuova dimensione, gli autori si interrogano sullo stato di preparazione dello Stato a questa nuova imminente preoccupazione e racconta:” Abbiamo cercato di capire lo stato dell’arte. Una volta la nostra polizia dettava l’agenda nei tavoli tecnici internazionali – tavoli nei quali sedavano organizzazioni del calibro della DEA-; abbiamo perso questo know-how”. Questa perdita di competenze rispetto alle pari organizzazioni degli altri stati è figlia di una mancata programmazione e dei mancati investimenti fatti dai vari governi a partire dal 2010. Oggi, oltre al personale, spiega il Procuratore, servono figure nuove come ingegneri informatici e hacker buoni, difficili da reclutare anche se si volesse, perché i privati possono garantire a queste figure professionali stipendi molto più remunerativi.
Gratteri illustra uno scenario delinquenziale, già conosciuto, ma non in questa chiave: ”Ormai stiamo tornando alla stagione dei sequestri di persona […]. Oggi un hacker blocca il software di un sistema informatico di una fabbrica, immaginate una fabbrica quotata in borsa, e quindi le chiedono un riscatto che cerca di parlo il prima possibile”. Questo perché una notizia del genere, data in pasto all’opinione pubblica, potrebbe dare un’idea di debolezza all’azienda e quindi provocare delle perdite in borsa. Questo pericolo crea la necessità di avere figure professionali che possano garantire una protezione da queste minacce rendendo queste figure professionali indispensabili e fondamentali.
A questo problema operativo, Gratteri evidenzia anche quello tecnologico, sottolineando che: ”I governi che si sono succeduti in questi anni non hanno investito in tecnologie”, e bacchetta anche la stampa, colpevole di non aver vigilato o chiesto conto del perché non vi è stata una programmazione adeguata in merito.
Alla domanda del giornalista Labate, il quale chiede: ”Qual è la prima cosa che devono fare e come devono muoversi secondo lei?” riferito a come le Istituzioni debbano muoversi per contrastare le mafie, Gratteri risponde: ”La prima cosa che si dovrebbe fare è un’utopia, bisognerebbe scrivere una legge con un art.1 «tutte le riforme normative, dal giorno in cui si è insidiato il governo dei migliori ad oggi, devono essere abrogate, perché tutto ciò che è stato fatto sulla giustizia […] non serve a velocizzare i processi, a tutelare le parti offese e a rendere più sicuro un paese”. Continua dicendo: ”Tutti vi dicono solo dei costi – riferito alle intercettazioni – ma non vi dicono quali sono i benefici”, il procuratore, prendendo come esempio un’operazione, fatta a Napoli di recente, dove sono stati sequestrati 280.000.000 di bitcoin, trasformati in euro successivamente, al fronte di 170.000.000 € – costo annuale nazionale delle intercettazioni – sottolinea che il 90% dei beni mobili che vengono confiscati, che sono un numero importante, è grazie alle intercettazioni.
Alla domanda su una sua remota volontà, una volta in pensione, di un’eventuale candidatura, Gratteri risponde: ”Io non sono un uomo di mediazione e la politica è mediazione”. Continua dicendo: “Mediazione vuol dire accordo al ribasso, quindi non fare ciò che serve. Io sono un bravissimo agricoltore, quindi quando finirò farò il coltivatore”.
Gratteri elogia il governo attuale, il quale tramite la commissione AI per l’informazione, presieduta da padre Benanti, elogiato dal procuratore per la sua competenza, cerca di normare l’uso dell’intelligenza artificiale, ma con riserva, perché prima vuole capire se c’è la vera intenzione nell’investire risorse in questo campo.
Gratteri non smette mai di ripetere: “La cultura è un valore”, che purtroppo oggi viene meno sempre di più in un mondo dove l’avere e l’apparire valgono molto di più dell’essere e del know-how personale.
Sono molti i temi toccati da Gratteri durante la serata, come il problema delle carceri, la debole sinergia tra le parti interessate dalla macchina giudiziaria, la corruzione, ma troppo poco è il tempo a disposizione. La presentazione-intervista si conclude con una domanda diretta da parte della giornalista Enrica Agostini: ” Lo Stato può vincere le mafie su queste nuove tecnologie?” e il procuratore risponde, com’è nel suo stile, in modo chiaro, diretto e conciso: ”No, con questo sistema giudiziario no”.
Serata piena di spunti interessanti, ma il problema accennato sulla responsabilità della stampa mi fa pensare. Il ruolo della stampa è stato ed è quello di watchdog – cane da guardia – un ruolo di vigilanza dell’operato politico e di protezione della democrazia. Prendendo spunto da una critica evidenziata dal linguista Michele Loporcaro, il quale evidenziava in un suo libro questa anomalia del sistema stampa italiano che al ruolo naturale della stampa, ovvero quello di “informare”, predilige il “racconto del mito”, ovvero il costante utilizzo del trasformare una notizia in “infotainment” – commissione tra informazione e intrattenimento – ho voluto sentire cosa ne pensavano i due giornalisti ospiti della serata. Enrica Agostini mi sottolineava la grossa pressione degli editori che, nell’allargare il proprio lavoro nei nuovi media, seguono regole commerciali. Tommaso Labate evidenziava il problema odierno della stampa, specialmente quella che utilizza il web, sempre più soggetta a fare visualizzazioni per accaparrarsi maggiori introiti pubblicitari, la quale si piega a selezionare notizie che la stessa gente sceglie – soft news -. Questo diventa un grosso problema per la democrazia perché viene meno il ruolo sopra evidenziato della stampa di vigilanza e anche quello di selezione delle notizie, tenendo lontano l’opinione pubblica dai veri problemi della società e soprattutto dall’operato del potere.
Paco
telemia.it