Nelle motivazioni della sentenza di appello del processo “Tipografic”, depositate nei giorni scorsi dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, viene approfondita la presenza nel comprensorio gioiosano di un “mercato clandestino” dedito all’attività abusiva del credito e dell’usura. Nella sentenza del processo del troncone dell’ordinario, che si è conclusa con 18 condanne a 106 anni di reclusione, 2 assoluzioni e il rigetto dell’impugnazione proposta dalla Procura verso l’assoluzione per il reato di associazione mafiosa per 5 imputati, i magistrati reggini, (Francesca Di Landre presidente, Elisabetta Palumbo consigliere, e Francesco Jacinto consigliere relatore), partendo dal ritenere credibile il testimone di giustizia che ha denunciato alla Guardia di Finanza i propri aguzzini, approfondiscono la diversa tipologia di operazioni che venivano condotte nell’ambito del mercato clandestino instauratosi nel comprensorio gioiosano.
Come riporta Rocco Muscari su gazzettadelsud, in edicola,dall’inchiesta coordinata dalla Dda reggina emerge, in primo luogo, che all’atto della dazione del denaro in prestito «il debitore conferiva un assegno postdatato, in garanzia del capitale ottenuto in prestito, impegnandosi a pagare rate periodiche, spesso comprensive dei soli interessi; alla restituzione del capitale, il creditore soddisfatto riconsegnava l’assegno offerto in garanzia, il quale veniva evidentemente annullato dal debitore; è chiaro che un’operazione del genere non poteva lasciare una traccia diversa dalla sola matrice dell’assegno offerto in garanzia, per la ragione che, per un verso, i pagamenti erano avvenuti in contanti, per altro verso, una volta ottenuta la restituzione dell’assegno, era interesse del debitore distruggerlo, per evitare che, accidentalmente, finisse nelle mani di terzi».
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