Riceviamo e pubblichiamo:
Gentilissima Valeria Fedeli, ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, mi chiamo Irene, fra circa un mese compio vent’anni e abito in una frazione di Gerace, uno tra i cento borghi più belli d’Italia, in Calabria. Mi reputo una ragazza semplice e solare, con le mie sfere di insicurezza, ma anche la mia dose di determinazione. Premettendo che non ho mai scritto una lettera così importante, ho deciso di rivolgermi a lei per farle presente un grosso problema che, a mio avviso, interessa oggigiorno tantissimi giovani italiani. Quando in passato mi chiedevano cosa volessi fare da grande, ho sempre risposto che sarei diventata il “medico dei bimbi” e crescendo ho coltivato giorno per giorno la mia aspirazione, studiando sempre, ottenendo ottimi risultati e impegnandomi nel volontariato per avvicinarmi alla realtà dell’ambito medico. Una volta concluso il liceo, quindi, non ho avuto dubbi sul nuovo percorso che avrei voluto intraprendere e mi sono iscritta al test di medicina. Ovviamente sapevo com’era strutturato e avevo la consapevolezza che, durante gli anni scolastici, non avevo acquisito in maniera sufficiente le conoscenze inerenti ad ogni argomento oggetto del test. Di conseguenza, non avevo ancora terminato lo studio per gli esami di stato che ho iniziato quello per l’ammissione. Nonostante ciò, non è andata come speravo e, con la delusione ancora dentro, ho cercato un altro corso di studi attinente (chimica e tecnologia farmaceutica). Nel frattempo aspettavo con ansia l’anno successivo per tentare di riprendere in mano quello che è il mio sogno. Ad oggi non ho idea di come sia andata questa seconda volta, ma indipendentemente da ciò le scrivo poiché credo fermamente che questo sistema di ammissione non sia il più adatto a noi, vogliosi di scoprire il mondo, di aiutare il prossimo e di mettere in pratica le nostre capacità. Non voglio risultare banale e scontata nel descriverle le sensazioni che si accumulano in tutto il periodo di preparazione: ansia, paura, timore di non farcela. Svegliarsi la mattina del fatidico giorno, promettersi di mettercela tutta e convincersi che andrà bene, crederci fino in fondo per poi attendere che arrivi il momento di dare quelle maledette risposte, giocandosi tutto in soli cento minuti. A qualcuno capita di non sentirsi bene, qualcun altro si sente tanto agitato da sbagliare a segnare le crocette o da confondere le etichette mandando a monte tutto; poi c’è chi, per paura di sbagliare e non perché sapeva meno, non rischia abbastanza nel decidere se mettere o meno alcune risposte. È vero, lei può essere convinta del fatto che chi sia meritevole riesca a rientrare nei 9.000 posti disponibili e io non metto in dubbio che possa essere così, ma ogni anno rimangono fuori più di 60.000 ragazzi e non credo che tra tutti non ci siano persone meritevoli quantomeno di provare a studiare medicina. Ritengo anche che per diventare un buon medico sia indispensabile avere una vocazione. Non è per tutti, forse nemmeno per me, ma non posso esserne certa se non ho nemmeno avuto la possibilità di iniziare. Come dice l’articolo 34 della Costituzione italiana tutti abbiamo il diritto allo studio, il quale dovrebbe permetterci di realizzarci e di diventare le persone che vorremmo essere, al fine di dare il nostro contributo alla società. Ammetto che la soluzione più ovvia sarebbe quella del numero aperto già in atto in altri stati, però allo stesso tempo comprendo i disagi e le difficoltà che le diverse università italiane potrebbero riscontrare nella dislocazione e nell’organizzazione di un numero così ingente di iscritti. Nondimeno, non mi sembra normale che il test sia basato su domande riguardanti discipline che, al primo anno di medicina, vengono studiate partendo da zero; in tal caso, non si dovrebbero sostenere esami su tali nozioni, visto che già si danno per scontate! Mi sembra che questo sia un evidente circolo vizioso.
Sarebbe come se ad un ragazzo che volesse iscriversi in giurisprudenza venissero poste delle domande di diritto costituzionale per poter essere ammesso. Un’idea alternativa potrebbe consistere in un test basato su quesiti a risposta semi-strutturata (dove lo spazio espressivo/creativo è maggiore, senza trascurare la capacità di sintesi), magari anche di natura psicologica, ovvero in grado di discernere tra chi è davvero motivato ad esercitare la professione e chi, per diversi motivi, non avrebbe la giusta dedizione. Un’ulteriore proposta (che ritengo essere prioritaria) è quella di introdurre un colloquio orale; mentre scrivo questo, so che i tempi di ammissione sarebbero molto più lunghi, ma credo valga la pena spendere energie per migliorare DAVVERO quella che avete chiamato “buona scuola” e selezionare non in base ad un sistema ereditato da altre società e lì già dimostratosi fallimentare, che è poi quello tipico della “società delle crocette”, in cui non è possibile prendere in esame le reali propensioni nei confronti di una professione che non richiede solo semplici nozioni (a volte su argomenti davvero banali!). Oltretutto, si studia in psicologia che i tempi di apprendimento e risposta possono essere diversi nei vari individui, senza per questo che siano da ritenere meno validi (anzi, forse è il contrario!), per cui appare assurdo non dare ai candidati il tempo sufficiente per fare una riflessione, lasciando invece così spazio al caso, all’istinto o, peggio ancora, al sospetto che ci sia qualcosa per agevolare solo “alcuni”, già sapientemente addestrati su quali “crocette mettere”; sarebbe un’ipocrisia, da parte mia, non riferirle questo che è un pensiero ormai dilagante.
Comprendo sia arduo e impegnativo stravolgere il sistema vigente, magari costruire strutture più grandi, ma potrebbe essere la cosa più giusta se veramente si vuole evitare la fuga di quei cervelli che potrebbero risollevare un’Italia strozzata dalla carenza di lavoro. L’educazione della mente è tutto, non ridicolizziamola a favore di sistemi che riducono la scuola ad un’ancella del mero guadagno.
Spero vivamente che lei legga queste mie parole e comprenda in profondità il problema, anche se capisco ne debba risolvere tanti altri, ma, solo per un attimo, si metta nei nostri panni, basta poco.
Sarei felice di incontrarla al più presto e, per quello che vale, le prometto il mio aiuto e impegno. Cordiali saluti.
Irene Miriello