Francesco Oliva – Vescovo della Diocesi di Locri-Gerace
Quest’anno è un anno speciale dedicato a Maria, un anno mariano, iniziato proprio qui a Polsi il 2 settembre scorso col rito dell’incoronazione della Madonna della montagna e del bambino.
Con lo sguardo dei figli, ci affidiamo a Lei e rimettiamo nelle sue mani le nostre attese. Impariamo da Lei ad apprezzare le persone che ci sono accanto e a non sentirci mai superiori agli altri e al di sopra di ogni regola. Con l’umiltà di Maria magnifichiamo il Signore: Egli abbatte i potenti, innalza gli umili e non si scandalizza delle nostre povertà. Rivolgiamo a Lei il nostro sguardo: sia Lei a parlarci e a parlare alle nostre comunità, a indicarci la via della carità. Sia Lei la madre e maestra a insegnarci che, se viene meno la stima reciproca, il mutuo aiuto, il lavorare insieme, tutto si fa più difficile. E soprattutto si rischia di lavorare invano. Siamo un corpo solo e quando sta male un membro tutto il corpo sta male (confronta 1 Corinzi 12 e seguenti).
Maria c’invita ad alzarci quando le difficoltà sembrano schiacciarci o ci sentiamo sopraffatti dalla noia e dalla tristezza. Maria ci vuole veri discepoli del suo Figlio Gesù, “evangelizzatori che pregano e lavorano” (Evangelii Gaudium, 262), pronti a vincere le paure, che rallentano il nostro cammino e c’impediscono di essere buoni samaritani lungo i sentieri della vita.
A Polsi tutto è iniziato da quel binomio rappresentato da Maria e dalla Croce. Maria e la Croce contengono il segreto di una storia millenaria di fede e di devozione, ma anche di grande sofferenza. È la sofferenza della nostra gente semplice e accogliente, laboriosa e fedele, la sofferenza delle famiglie che accolgono nelle loro case la carne sofferente di Cristo in un parente malato o disabile o anziano.
Chiedo a tutti voi qui venuti tra mille difficoltà a rinnovare la propria devozione alla Croce di Cristo e ad accogliere le mille croci che s’incontrano nella vita quotidiana e a offrire se stessi come dono nel servizio ai fratelli e alla comunità.
Personalmente rinnovo la mia fede in Maria e nella Croce lungo il percorso del mio servizio episcopale, che qui a Polsi, nel settembre del 2014, ha vissuto il suo primo momento intenso ed emozionante. Interrotto due anni fa non per il Covid-19, ma per una prova più dura, che mi teneva lontano da questo luogo. Chiedo preghiere e l’offerta dei vostri sacrifici per l’unità e la crescita di questa chiesa diocesana.
Mi rivolgo a Voi, fedeli devoti, con la speranza che in questo anno vivremo con più intensità la nostra vicinanza a Maria, la Madre che ama tutti e invita a camminare con coraggio e fiducia incontro al Padre di misericordia. Lei è la madre che ha raccolto le parole che il Figlio ha pronunciato sulla croce. Ed è proprio da esse che desidero partire per una comune riflessione.
Gli evangelisti riportano sette parole pronunciate da Gesù sulla Croce. Sette parole che ci manifestano quanto Dio ci ha amati guidando suo Figlio alla morte in croce per farci divenire suoi figli, “figli nel Figlio”.
La prima delle sette parole pronunciate in un contesto di grande sofferenza, ma non di rassegnazione e sfiducia, è: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca 23, 34). Il Signore chiede perdono per coloro che lo stanno condannando. Ecco una vera parola evangelica: perdono. Quanti vorremmo sentire questa parola. Quando il peso degli errori ci opprime, quando la debolezza ha manifestato la nostra povertà, quando abbiamo mancato di fedeltà ai nostri doveri o tradito l’amicizia o ingannato il prossimo o ci siamo voltati dall’altra parte incapaci di fare il bene o ci siamo dimenticati dei nostri genitori. Non dimentichiamo di dire “perdono, ti perdono” alla persona da cui abbiamo ricevuto un’offesa, specie se grande. Chiedo perdono a Dio per quanti con le loro azioni criminali hanno fatto del male a questo santuario mariano, per quanti sono macchiati del sangue innocente del fratello Abele, per quanti hanno violentato questa bella terra d’Aspromonte.
La seconda parola di Gesù in croce è: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». La pronuncia rivolto a un condannato per reati gravi, un criminale, che sul punto di morte incrocia un volto amico, un salvatore, uno che da subito (oggi) gli promette la felicità del paradiso. Lui che aveva vissuto la sua vita perseguendo strade sbagliate incontra in punto di morte il Cristo, il Dio che ha preso sulle sue spalle il peso dei peccati e dei fallimenti di tutti gli uomini. Quanti vorremmo incontrare Colui che in croce ha condiviso il nostro peccato e con la potenza del suo amore li ha perdonati e, morendo, ci ha salvati. Il segreto del perdono sta nell’amore immenso che promana dalla persona di Gesù, un amore che sa capire la debolezza, che non conosce la vendetta, che non condanna, che vede negli altri anche il poco o molto bene compiuto. Sono parole di speranza per tutti. Chi può dire di potersi presentare al cospetto del Padre senza aver fatto alcun male agli altri? Siamo tutti bisognosi dell’amore del Padre. E desideriamo essere peccatori perdonati.
«Oggi con me sarai nel paradiso»: Gesù crocifisso mostra al condannato che ha ancora un padre che lo ama. E accogliendo questo amore-perdono del padre diviene colui che chiamiamo comunemente “buon ladrone”. Sulla croce della sua condanna ha incontrato il perdono dei suoi peccati attraverso la misericordia del padre, e quindi la sua liberazione e salvezza.
Un’altra parola del Crocifisso, quasi un testamento di amore, è rivolta alla madre e al discepolo prediletto: «Donna, ecco tuo figlio!» e al discepolo: «Ecco tua madre!». A pochi istanti dalla sua morte Gesù consegna al discepolo quanto aveva di più caro: la madre! E a sua madre quanto gli stava più a cuore: il discepolo prediletto e, in lui, tutti i suoi discepoli. Davanti al figlio che muore in croce, in Lui Maria ci accoglie tutti come figlie e figli suoi: è la Madre di tutti i suoi amici e discepoli, è la madre della Chiesa. Gesù ci affida la madre e affida noi alla madre. Quale grande mistero di amore!
Al culmine del dramma che si sta compiendo sulla croce Gesù grida a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Matteo 27, 46). In Croce Gesù vive sulla sua pelle la sofferenza del mondo intero, prova l’amarezza della solitudine, l’essere solo col Padre. Tutti sono fuggiti da Lui, molti lo hanno tradito. Rimangono le sue parole e i suoi gesti di misericordia e di bontà. Volgiamo il nostro sguardo alla croce, a Gesù. Come diceva sant’ Agostino, sulla croce stavamo anche noi, perché siamo il suo corpo, che è la Chiesa: sulla croce Cristo parla per ciascuno di noi e a ciascuno di noi. Con il peccato, con l’indifferenza disumana, con l’odio fratricida, con le armi e la guerra, con l’abbandono degli ultimi e dei più poveri Gesù è stato abbandonato sulla croce.
«Ho sete» (Giovanni 19, 28). Questo grido manifesta l’umanità del Signore in mezzo a sofferenze tremende, dovute all’asfissia in Croce. Sulla croce Gesù prova sete. Ha sete del nostro amore, invoca il nostro aiuto; ha sete di amore, di vicinanza, di solidarietà. Ha bisogno del nostro amore, della nostra vicinanza e solidarietà verso i più deboli e poveri. Più dell’arsura e della fatica del corpo, lo consuma la sete della nostra umanità.
«È compiuto» (Giovanni 19, 30). Tutto è compiuto. Gesù ha amato obbedendo sino alla fine. Il progetto di amore ricevuto dal Padre ha raggiunto il suo compimento. Gesù non poteva fare di più. Contempliamo sulla croce il mistero dell’Amore, più che del dolore. Manifesta, sino alle ultime conseguenze, ciò che vuol dire essere pienamente Figlio di Dio. Sulla Croce c’è, soprattutto, l’amore di Gesù per il Padre e per il mondo intero.
«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Luca 23, 46). Cristo muore per amore di Dio, per amore verso di noi. Muore “una volta per sempre” (1 Pietro 3, 18). Come uomo è morto, volontariamente, ma la sua morte è la vittoria dall’amore, la vittoria della vita.
In queste sette parole di Cristo troviamo qualcosa di meraviglioso che ci rivela il volto di un Dio che ama senza limiti, in modo esagerato: il perdono dei nostri peccati, la promessa di essere per sempre con Gesù, il dono di Maria come Madre nostra, la preghiera di affidamento al Padre. Possiamo così dire: grazie alla Croce di Gesù siamo figli di Dio, e della madre Sua Maria, siamo figli per un’adozione di amore.
Tutto questo è il mistero racchiuso in quella croce, che tutta la Chiesa esalta in questo giorno. E che noi qui vogliamo insieme accogliere, credere e adorare. Rinnovando questa fede strettamente abbracciati a Maria, nostra madre.
Non lasciamoci rubare la croce di Gesù nostro Signore. Il simbolo della croce oggi rischia di essere spazzato via o, peggio, strumentalizzato da una moda consumistica. Pur avendolo sempre con noi dimentichiamo che esso è “opera di amore, di donazione e di offerta”. La croce di Gesù c’invita a volgere lo sguardo a tutti i crocifissi della terra: i poveri, gli ammalati, i vecchi, gli sfruttati, i migranti e i senza tetto. La salvezza ci viene tramite loro, restando sempre valida la parola del Vangelo: «Avevo fame… avevo sete… ero forestiero… ero nudo… ero malato…» (Matteo 25).
Dalla Croce di Polsi giunga a tutti un messaggio di speranza e di amore.
O Croce santa, rivelaci ogni giorno il mistero dell’amore che si compie attraverso ogni nostro piccolo gesto di vicinanza e di solidarietà. E attraversando un difficile percorso per venire in questo santuario aiutaci a riscoprire che solo attraverso le prove e le difficoltà della vita possiamo incontrare la vera gioia e la felicità eterna.
Amen.