Quando arrivava don Enzo Strati tutto diventava più semplice. Addirittura possibile. Nella casa di Roma, a San Giovanni, che condividevo con il figlio,  arrivava la primavera: frigorifero e dispense piene in ogni singolo scomparto, Scala Quaranta e Merit Centos. Poi al ristorante: «Bistecca alla Fiorentina», ordinava al cameriere. «I ragazzi devono studiare», aggiungeva senza crederci. Infatti… noi non studiavamo, sapevamo solo svuotare dispense, frigorifero e fare tardi. Tanto – pensavamo – Don Enzo sarebbe tornato presto.

La sera andavamo a scoprire qualche gelateria, anche fuori Roma. Si spalancavano le porte, il locale si fermava: don Enzo era un fuoriclasse assoluto di quel mondo. Non la Bmw, ma la Lamborghini, non Dino Meneghin, ma Micheal Jordan. Era Platinì, non Del Piero.

Ci riempiva d’orgoglio, ci faceva sentire sidernesi al cento per cento. Ma lui rimaneva umile e i complimenti li deviava parlando dell’Inter, forse l’unico difetto di uno che sapeva stare al mondo, individuando nella solidarietà un elemento completo per la realizzazione dell’uomo. Oltre preghiere e paradisi.

Lui ha dato sempre a tutti, poi il destino gli ha tolto la cosa più importante, un altro fuoriclasse, a sua immagine e somiglianza.

Passava sempre da Roma don Enzo, perché c’era sempre un appuntamento, un tavolo di relatori autorevoli della pasticceria italiana che gli riservava un posto d’onore. Era originario di Reggio, ma in ogni suo intervento la sua alta arte pasticcera era quella di Siderno. E di quest’ultima città era divenuto l’ambasciatore massimo.

Enzo Strati, il più grande pasticcere della Locride, il galantuomo che aveva Siderno e l’ amicizia autentica nel cuore.

di Ercole Macrì tratto da larivieraonline.com