Quando ancora le abitazioni era prive di acqua potabile si andava a lavare al fiume o al lavatoio pubblico. La madre di famiglia di una volta, oltre a quest’onere, aveva il carico di tutta una serie di adempimenti a cui non poteva sottrarsi: andare ad attingere l’acqua alla fonte, cucinare, rattoppare, cucire, rassettare la casa, badare ai figli, andare al mulino per la farina, preparare il pane, lavorare al telaio ecc. ecc.
Per andare a lavare al fiume si partiva sempre di prima mattina e l’operazione impegnava tutta la giornata: si ritornava a sera stanche, ma con la biancheria asciutta e profumata di pulito. Appena si arrivava sul posto si accaparrava subito la pietra su cui lavare. Sistemato un capo sporco sotto le ginocchia o inginocchiate a diretto contatto col terreno, le donne iniziavano subito a lavare.
Fiume e dintorni, diventavano allora scenari e testimoni della routinaria fatica femminile. C’era chi insaponava, chi sciacquava, chi strizzava, chi “mazzijava”, chi sciorinava, chi cantava, chi gridava, chi rimproverava il proprio piccolo per essere andato in acqua. Oggi il bucato si fa con la lavabiancheria; sul mercato ci sono macchine sempre più perfette e sofisticate alla portata di tutti o quasi. Il vero “lusso” consiste nel permettersi di lavare qualche capo a mano, “lusso” che poche donne ancora si permettono.
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