R. e P.

Il carabiniere Fortunato Caccamo, nato a Gallina (Reggio Calabria) il 1 febbraio 1923, cento anni fa, a soli 21 anni, sacrificò la sua giovane vita per la nostra Libertà.

Concretizzato il desiderio di arruolarsi nell’Arma, il 19 dicembre 1942 fu assegnato alla Legione di Roma, destinato dapprima presso la Stazione Carabinieri Scalo Termini e poi al Posto Fisso CC.RR. del Senato. A Roma, giovane Carabiniere di vent’anni, visse le vicende che segnarono il futuro del nostro Paese. Fatti che videro anche protagonisti eroici militari dell’Arma, che quest’anno, nell’ottantesimo anniversario, è doveroso ricordare.

Il 19 luglio 1943, la Capitale fu bombardata per la prima volta dagli alleati, con vittime anche illustri come il Comandante Generale dei Carabinieri Reali, Generale Azolino Hazon.

Il 25 luglio 1943, il Gran Consiglio depose il duce, che venne arrestato su ordine del re, dai Carabinieri, al comando dei Capitani Paolo Vigneri e Raffaele Aversa, quest’ultimo era il Comandante di Compagnia del giovane Fortunato.

In un clima di crescente tensione, l’8 settembre 1943 fu proclamato l’armistizio. Nella notte tra l’8 e il 9 settembre, un Battaglione Allievi Carabinieri (quasi 700 militari) fu duramente impegnato nella difesa della Capitale dall’avanzata tedesca. Nella mattinata del 9 settembre, cadde il Capitano dei Carabinieri Orlando De Tommaso che, pochi mesi prima, era stato tra gli insegnanti e formatori del Carabiniere Fortunato Caccamo.

Il 22 settembre 1943, a Palidoro (Roma), il Vicebrigadiere Salvo D’Acquisto, un suo coetaneo, decise di accusarsi di un’inesistente attentato subito dai nazisti, in un moto di assoluto altruismo. Come noto, fu fucilato, salvando così 22 civili innocenti da morte certa. Oggi è Servo di Dio, oltre che decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

In quei giorni terribili del 1943, il giovane Carabiniere Caccamo ebbe un quotidiano esempio nel suo Comandante di Compagnia, il Capitano Raffaele Aversa, che ripeteva ai suoi uomini: “Siamo rimasti solo noi Carabinieri a fronteggiare gli eccessi dei tedeschi ai danni della popolazione che abbiamo il dovere di proteggere anche se non ci sono stati impartiti specifici ordini. Per questo, nessuno di noi, deve abbandonare il suo posto. Per me se ritengono ciò che ho fatto un delitto (riferendosi all’arresto del duce, cui aveva partecipato, n.d.r.), mi arrestino e mi uccidano pure, ma io non solo non mi nascondo, ma debbo e voglio operare in uniforme. Ordino che tutti i dipendenti compiano il loro attuale dovere, a qualsiasi costo”. Il Capitano Aversa fu fucilato il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine.

Una settimana prima di rastrellare il ghetto ebraico di Roma, i nazisti decisero di arrestare e deportare tutti i Carabinieri romani. I tedeschi consideravano i militari dell’Arma “inaffidabili”, anche per avere combattuto a Napoli in favore della popolazione durante le famose “quattro giornate” del settembre 1943. Fu così che, il 7 ottobre del ’43, oltre 2000 Carabinieri furono disarmati e deportati verso il Nord. Fortunato Caccamo, come centinai di suoi commilitoni, riuscì a scappare prima che l’operazione di rastrellamento fosse conclusa.

Come tanti militari, in quei terribili mesi, il Carabiniere Caccamo entrò, col nome di battaglia “Tito”, nel “Fronte clandestino di resistenza dei Carabinieri”, definito anche Banda Caruso”, perché organizzato dal Generale dell’Arma Filippo Caruso, anch’egli calabrese.

Nella guerra di liberazione, il partigiano “Tito”, ancorche ventenne, partecipò a variate azioni nella zona dei Monti Albani e di Palestrina, occupandosi di curare i collegamenti con le formazioni partigiane guidate prima dal Maggiore Lazzaro Dessy e poi dal Maggiore Costantino Ebat, che sarà fucilato insieme al nostro Fortunato. I nazisti nella Capitale eseguirono continue perquisizioni per catturare i Carabinieri, anche attraverso delazioni. Ed è probabile che le SS, il 10 dicembre 1943 e il 23 marzo 1944, arrestarono il Tenente Colonnello Giovanni Frignani, il Maggiore Ugo de Carolis, il Capitano Raffaele Aversa, i Tenenti Romeo Rodriguez Pereira e Genserico Fontana, nonché il Brigadiere Candido Manca, anch’essi tra i 335 italiani fucilati alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944.

Due giorni dopo, il 26 marzo 1944, l’attività operativa di Fortunato Caccamo fu definitivamente bloccata. Il giovane “Tito” fu arrestato dai nazisti a Roma, in Piazza Bologna, tradito da una spiata. Ripetutamente torturato nel carcere di via Tasso, rispose con l’assoluto silenzio. In questo modo, il giovane Fortunato evitò che le SS avessero informazioni sui capi e sui gregari dell’organizzazione. Come recita la motivazione della Medaglia d’Oro al Valor Militare concessagli: “Nessuna lusinga o allettamento dei suoi aguzzini lo faceva deflettere dal giuramento prestato”. Il 9 maggio 1944 fu processato e condannato a morte dal Tribunale di guerra tedesco. Gli alleati erano da settimane alle porte di Roma, liberata il 4 giugno.

Ma fu il giorno prima, alle ore 10:00 del 3 giugno 1944, mentre i tedeschi preparavano la ritirata, che il Carabiniere Fortunato Caccamo fu condotto a Forte Bravetta e fucilato con Mario De Martis (tenente pilota), Costantino Ebat (maggiore dell’Esercito), Guido Orlanducci (sergente), Giovanni Lupis e Emilio Scaglia (guardie di pubblica sicurezza). Dopo la guerra, alla memoria dell’eroico Carabiniere Fortunato Caccamo fu conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare, con la seguente motivazione: “Carabiniere animato da elette virtù militari, sottrattosi coraggiosamente alla cattura delle forze tedesche, entrava subito a far parte dell’organizzazione clandestina dei Carabinieri della Capitale. Catturato su delazione, sebbene sottoposto, per lunghi mesi, a feroci torture, manteneva assoluto silenzio, evitando così di far scoprire capi e gregari dell’organizzazione. Nessuna lusinga o allettamento dei suoi aguzzini lo faceva deflettere dal giuramento prestato. Compreso solo del bene della Patria, donava la sua giovane esistenza affrontando serenamente la morte per fucilazione. Luminoso esempio di attaccamento al dovere e all’onore militare”. La motivazione della Medaglia d’Oro è chiara per comprendere l’eroismo di Fortunato Caccamo, Carabiniere ucciso a 21 anni per la libertà della nostra Italia.

L’Eroe reggino è stato tra i tanti militari protagonisti della guerra di liberazione. Un partigiano vero, il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, nel 1984 volle riconoscere l’impegno dei Carabinieri anche in quei momenti drammatici per l’Italia, concedendo la terza Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Bandiera dell’Arma. Questa è la motivazione: “Dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943, in uno dei periodi più travagliati della storia d’Italia, in Patria e oltre confine, i carabinieri frazionati nell’azione ma uniti nella fedeltà alle gloriose tradizioni militari dell’Arma, dispiegarono sia isolati, sia nelle formazioni delCorpo Volontari della Libertàe nelle unità operanti delleForze Armateeminenti virtù di combattenti, di sacrificio e di fulgido valore, attestate da 2735 caduti, 6521 feriti, oltre 5000 deportati. Le ingenti perdite e le 723 ricompense al valor militare affidano alla storia della prima arma dell’Esercito la testimonianza dell’insigne contributo di così eletta schiera di carabinieri alla Guerra di Liberazione, tramandandola a imperituro ricordo. Zona di operazioni, 8 settembre 1943- 25 aprile1945”.

Nel centenario della sua nascita, affermiamo che Fortunato Caccamo non è un eroe dimenticato.L’Arma dei Carabinieri ha intitolato a lui le caserme del Comando Provinciale di Reggio Calabria in Via Aschenez e del Comando Stazione Carabinieri di Roma “San Giovanni” in via Britannia. Il suo nome non è stato dimenticato dalle migliaia di militari che, negli ultimi decenni, hanno lì operato silenziosi in favore dei cittadini onesti. Nel centenario della sua nascita, si auspica che la sua città d’origine possa decidere di intitolare a Fortunato Caccamo una via nella città di Reggio Calabria per ricordare l’eroico concittadino e non dimenticare il sacrificio, le rinunce, il sangue versato di tutti i patrioti della guerra di liberazione. Così, a testimoniare il ripudio per le guerre e inneggiare un monito alle generazioni a venire,perché Reggio Calabria continui il percorso di legalità intrapreso e confermi un ulteriore riscatto. E non è utopia!

 

Ciro Niglio – Cosimo Sframeli