Aveva il cuore malandato, le gambe acciaccate, camminava appoggiandosi ad un bastone. Doveva scontare ancora un anno di carcere. Ma da tempo soffriva e per questo il suo avvocato più volte aveva invocato i domiciliari. Ma per Giuseppe Barbaro, 53 anni, originario di Platì, condannato a 5 anni in abbreviato nel processo “Minotauro”, non c’è stato niente da fare. Le guardie penitenziarie lo hanno trovato senza vita ieri notte nella sua cella di Vibo Valentia. Sul corpo, nelle prossime ore, verrà effettuata l’autopsia per accertare le cause della morte. A denunciare il fatto è l’avvocato Giampaolo Catanzariti, che sottolinea le «serie patologie» di cui l’uomo era affetto. «Più volte mi scriveva e sempre, come quando andavo a trovarlo, mi confessava che aveva paura di non poter vedere i suoi quattro figli, sua moglie, i suoi genitori anziani, i suoi familiari – scrive il legale -. Lamentava di essere scarsamente seguito». La fitta corrispondenza tra i due disegna i contorni di un percorso travagliato, fatto di sofferenza. Tra le lettere, significativa quella datata 5 maggio 2015. «Oggi sto male e credo che continuando così da un momento all’altro posso morire e non accetto questo fatto – scriveva Barbaro -. Qua non funziona proprio niente fanno morire le persone». Parole che per l’avvocato si sono rivelate profetiche. «Purtroppo ha avuto ragione – commenta -, ma nessuno ci ha creduto. Si è attesa la prova irreversibile». Almeno due volte era stato trasportato in ospedale. A luglio scorso, Catanzariti aveva presentato un’istanza di differimento della pena con l’applicazione dei domiciliari, unica forma possibile visto che stava scontando una pena per un reato ostativo, istanza che però era stata rigettata. «Considerato che dalla relazione sanitaria aggiornata al 12.7.2016, inviata dalla Casa circondariale di Vibo Valentia (le cui conclusioni sono integralmente da condividere, in quanto basate sull’esame di numerose e accurate visite ed esami strumentali, dettagliatamente elencate) – questa la risposta ricevuta dal legale -,risulta che il detenuto, affetto da cardiopatia ischemica cronica, ectasia dell’aorta ascendente, displidemia mista, ipertensione arteriosa, emisindrome somato-sensitiva a sx da pregresso ictus cerebrale, lieve ispessimento delle carotidi bilaterale, ernia inguinale sx e lieve varicocele bilaterale, neoformazione mediastino antero-superiore retrosternale (verosimile timo-lipoma), sindrome ansiosa è in trattamento farmacologico secondo le indicazioni specialistiche, con discreto controllo del quadro clinico generale, per la deambulazione utilizza un bastone canadese ed è autonomo negli spostamenti all’interno della cella e dell’istituto, con la conseguenza che non è in condizioni di salute gravi e tali da essere incompatibili con il regime carcerario, sentito il parere del p.g. rigetta le istanze». Un quadro ricco di patologie che però non rendeva necessaria,secondo i giudici, una forma alternativa di espiazione della pena.

«Diverse volte ho sollecitato le diverse carceri ed il Dap sulla necessità che venisse seguito e curato. Palmi, Melfi, Rossano, Catanzaro ed infine Vibo. Aveva anche subito dei ricoveri temporanei in ospedale, dal carcere stesso – commenta ancora Catanzariti -. Lo avevo visto per l’ultima volta a Vibo, il 6 agosto di quest’anno, durante la visita con Rita Bernardini. Stipato assieme agli altri detenuti, ai passeggi. Non ci è stato consentito, come avviene ovunque, di entrarci ed incontrarli. Solo accalcati dalle sbarre. Come le belve feroci destinate ad aumentare la loro belluinità. Anche lì mi manifestava la sua lamentela ribadendomi che non sarebbe uscito vivo da lì. Così è stato. Adesso, per lo Stato italiano, sarà un numero da statistiche, alla voce, “morti in carcere”. Per me, era un uomo che avrebbe meritato di andare a casa per essere curato e seguito anche dall’affetto dei suoi cari. Un uomo che ha avuto la sventura di essere nato a Platì, comune della Calabria, in una nazione “serva, di dolore ostello, nave sanza nocchier in gran tempesta, non donna di provincie ma bordello!”».

Simona Musco zoomsud.it

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