Una premessa… economica
Raj Patel, giornalista, economista e accademico inglese, è il più autorevole rappresentante della filosofia della condivisione. In un suo recente libro, Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo, tenta di offrirci gli strumenti per riflettere in modo nuovo, anzi antico, sul mondo. Sul valore delle cose e soprattutto sul senso di ciò che facciamo.
In questa sua critica al capitalismo, Raj Patel conferma come il mercato non riesce a valutare con equità il valore del lavoro. Così come, e di conseguenza, non riesce a soddisfare i bisogni delle persone, e le necessità delle generazioni future.
Bene, ci sono luoghi, in Calabria per esempio, dove i bisogni delle persone e le necessità delle generazioni future continuano a esercitare un certo fascino. Quel fascino del passato, e soprattutto del futuro, che si traduce in magia del presente, come nel caso delle Nacatole. E qui non c’è spazio per il capitalismo.
Le Nacatole
Si potrebbe dire che le Nacatole sono dolci anticapitalistici, di resistenza, ri-evoluzionari, e anche simbolici. Nel senso che sono dolci che resistono alle attuali logiche illusorie del capitalismo. E questo perché non transitano. E se transitano, lo fanno per vie altre, attraversando palati che da una generazione all’altra si depositano in un qui e in un ora. Un qui e un ora evidentemente esclusivi.
E allora, già sappiamo che le Nacatole sono dolci tradizionali calabresi di antica origine, diffusi per lo più nella provincia di Reggio Calabria. In particolare nella Locride, nella Piana di Gioia Tauro e anche nel Vibonese.
Secondo autorevoli fonti, le Nacatole sono dolci bizantini, e il nome deriva da Naca, che sta per culla. E questo perché la forma ricorda la culla di Gesù bambino.
In ogni modo si tratta di dolci preparati dalle donne nell’intimità delle loro cucine, attualmente anche nelle pasticcerie locali, e soprattutto durante il periodo natalizio, ma anche per il Carnevale e la Pasqua. In passato durante i matrimoni, come bomboniera da consegnare agli invitati.
In particolare si realizzano una settimana prima di Natale, come segno augurale, in genere donate, condivise e consumate in compagnia di parenti e amici. Consumate, anche, come conclusione del cenone di fine anno.
E ancora
In questo loro transitare, Francesco Antonio Angarano nel suo Vita tradizionale dei contadini e pastori calabresi, nel lontano 1973, ci diceva che un tempo si solevano preparare le Nacatole. Caratteristici dolci a forma ellissoidali fatti con farina, uova e zucchero, e che venivano inviati dai contadini quale omaggio al padrone.
Vito Teti, invece, ci informa che le Nacatole sono consumate anche in alcuni pranzi rituali, e fuori dal Natale o Capodanno. Nello specifico in occasione delle celebrazioni dell’Immacolata a Marina di Nicotera, in provincia di Vibo Valentia. Qui la gente consuma nelle case il pasto rituale. Maccheroni fatti in casa conditi con carne di maiale, zucca rossa fritta e impanata, Nacatole e anche panettone.
In ogni modo, c’è da dire che le Nacatole sono inseriti dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali nell’Elenco Nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Infatti, per la loro produzione, sono necessari ingredienti naturali, del luogo, come farina di grano tenero, lievito, uova, succo di limone, olio d’oliva extravergine e anice.
La ricetta delle Nacatole
La ricetta delle Nacatole è apparentemente molto semplice e pare sia rimasta pressoché immutata rispetto a quella originaria, così come gli ingredienti da usare. Si tratta comunque di dolci strettamente connessi alla cultura contadina con pochi e semplici ingredienti, e di facile reperibilità.
Ingredienti
- Uova (6);
- zucchero (400 grammi);
- olio d’oliva extravergine (1/2 bicchiere);
- succo di limone (1);
- liquore all’anice (1 tazzina);
- lievito per dolci (1 cucchiaino);
- farina (1 kilo).
Procedimento
E’ necessario dapprima sbattere le uova con lo zucchero in una scodella. A questo punto si aggiunge il succo di limone e di seguito l’olio d’oliva extravergine facendo attenzione che si sciolga bene lo zucchero. Quindi si aggiunge l’anice.
In un’altra scodella si mette la farina, rigorosamente setacciata, con il lievito per dolci e si amalgama per bene. Si aggiunge quindi l’impasto della scodella precedente e si lavora il tutto affinché l’impasto risulti più o meno omogeneo, cioè morbido e non appiccicoso. In ogni modo è possibile aggiungere altra farina per ottenere la consistenza desiderata.
Si leva il composto dalla ciotola e si lavora su una spianatoia in legno fino a raggiungere un panetto di pasta. Dal panetto così ottenuto è necessario ricavare dei filati di pasta spessi circa un dito e piuttosto lunghi, 40 o 50 centimetri, arrotolandoli sulla spianatoia di legno imprimendo una leggera pressione con entramene le mani.
A questo punto è necessario avvolgere il filo di pasta intorno al manico del cucchiaio di legno, per poi richiuderlo su se stesso su entrambi i lati, ottenendo così la tipica forma ellissoidale.
Ancora avvolta al manico del cucchiaio di legno, la forma deve essere rifinita sul pettine del telaio per decorarla e conferire le tipiche striature, per poi essere sfilata dal cucchiaio. Infine le Nacatole devono essere fritte nell’olio bollente, 5 minuti da un lato e 5 minuti dall’altro, fino a ottenere il colore marrone chiaro.
Una lunga tradizione
Le Nacatole, dunque, sono dolci tipici per tradizione prodotti, solo, in alcune zone della Calabria, e all’interno delle case.
Si tratta di dolci squisiti e apparentemente poveri. Apparentemente poveri perché ancora oggi celano la raffinata e spesso misteriosa arte della tradizione. Un’arte fatta tradizione, o una tradizione fatta arte, evidentemente legata all’orizzonte simbolico del cibo, sia nella lavorazione sia nei consumi rituali.
E allora, Nacatole come simbolo di nascita, e anche di rinascita, per una dimensione più umana… più qualcos’altro.
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A presto, Sergio.
Ps: l’immagine è tratta dalla pagina Facebook Le Nacatole di Zia Marcella.