di Giuseppe Romeo

Pur sbalorditi per l’accaduto, ma siamo costretti a darne notizia per dover di cronaca.

Pochi giorni fa siamo stati contattati da Marcella, una collega giovane e capacissima, della provincia reggina, che dopo qualche anno trascorso ad esercitare in regime di libera professione in Sicilia, ha finalmente ricevuto la chiamata da un ospedale nel Catanzarese.

“Quando la tua terra ti chiama, soprattutto in un momento di massima emergenza come quella che stiamo vivendo, non puoi tirarti indietro”

Sono queste le sue prime parole, che vi fanno capire con che tipo di eccellente persona abbiamo a che fare. Marcella per lavorare a Catanzaro ha bisogno di una casa in affitto, ed inizia la ricerca. E qui inizia il teatro dell’assurdo. Non una, ma ben due volte, quando ormai si era accordata con i proprietari su prezzo, contratto e burocrazie valide, l’accordo salta. Il motivo?

Si rifiutano di affittarle case perchè Marcella fa l’Infermiera. “Un’untrice”

Precisiamo sin da subito: non si tratta di case in condivisione. In entrambe le situazioni si parlava di casa ad uso singolo o di mansarda. Non era prevista nessuna condivisione nè convivenza. Le ragioni addotte dai proprietari sono state:

“sarà psicosi o altro ma lavori con pazienti positivi al virus? avendo genitori anziani meglio prendere precauzioni”

oppure

“non me la sento di darti a casa stante la situazione di paura e di precauzione, sono anche asmatica”

Ci sarebbe molto da dire e da commentare su episodi simili, ma preferiamo astenerci e dare spazio invece alle parole di chi ha vissuto questa grave discriminazione sulla propria pelle:

“Sono un’infermiera. Quello che faccio ogni giorno rafforza l’anima, non è un lavoro semplice, è semplicemente un lavoro d’amore. In questo periodo di crisi mondiale le difficolta e le paure ci travolgono come un uragano ma mettiamo lo stesso giorno dopo giorno la nostra vita a rischio per il bene comune.. Sono qui davanti al computer a scrivere queste parole per smuovere la coscienza popolare e far riflettere su quanto mi è appena accaduto.
Sono stata chiamata a prendere servizio presso l’azienda ospedaliera di Catanzaro per fronteggiare a quest’emergenza del corona virus, ho poco tempo a mia disposizione per raccogliere tutto quello che avevo costruito finora metterlo in una valigia e partire a combattere sul fronte della battaglia pur di dare una mano. Ricevo la chiamata da parte della struttura Venerdì  6 marzo, Lunedi 9 marzo vado alla ricerca di una casa come punto d’appoggio e dopo varie ricerche trovo ciò che fa al caso mio.

Contentissima rientro a casa e organizzo trasloco, lavoro e tutto ciò che rimane della mia vita qui a Catania, ci tengo a precisare che sono una ragazza calabrese. Il problema sorge la sera di giorno 10 marzo quando la mia futura proprietaria di casa decide che non può mettere a rischio la propria incolumità affittando la casa ad un’infermiera.

Ogni mia sicurezza crollò mi sentì messa completamente in ginocchio. Decido cosi di raccontare l’accaduto e centinaia di persone si mettono a piena disposizione per aiutarmi. Non sono più preoccupata per la casa ma l’umiliazione e l’amarezza di tutto questo è fortissima. Come può il genere umano arrivare a ciò?, non le avrei chiesto mica di prendere un caffè insieme, avrei usato tutte le precauzioni che la situazione impone. La domanda da porsi è una sola, si può essere discriminati per il lavoro scelto? Non pretendo nulla chiedo solo di fare forza comune, seguire il buonsenso e insieme vincere questa battaglia”.

Ma quello di Marcella non è l’unico caso, e la stupidità umana non è una questione “geografica”. Difatti, a Milano, è accaduta la stessa cosa.

Stante quanto riportato da TGCOM24, Silvia, una collega neolaureata di 23 anni, alla richiesta di affittare una casa si sarebbe sentita rispondere: “non ce la sentiamo di darle l’appartamento perchè lei lavora in un reparto con pazienti CoVid-19”.

Silvia ha dichiarato ai microfoni di TgCom24: “Sono delusa più che arrabbiata, tutti bravi a fare appelli pubblici poi però quando c’è da fare qualcosa di concreto si tirano indietro. Non sono l’unica a cui è successo, tutti i miei colleghi stanno cercando di allontanarsi in queste settimane dalle famiglie. Una mia amica si è vista più volte rifiutare un affitto. Non siamo untori, ma infermieri“.

Nell’Italia dei flashmob, si applaude dai balconi, si canta a squarciagola l’inno nazionale, ma si sbattono le porte in faccia a chi ha scelto di intraprendere una Professione che ha come obiettivo quello di preservare la salute della colletività, mettendo talvolta a serio rischio la propria.

Ma generalizzare è sempre sbagiato, e fortunatamente ci sono anche esempi positivi, dai quali ripartire. Sul gruppo Facebook “Affitto Bergamo e Provincia”, la Signora Chiara scrive:

OFFRO la mia casa a Bergamo gratutamente a personale sanitario venuto per fronteggiare la pandemia in corso, ci sono 7 posti letto. Anche al personale che ha bisogno di un appoggio per non tornare a casa dai familiari per evitare ulteriori contagi

Il mondo è bello perchè è vario, ed in questa varietà ci sono sfaccettature bellissime, fatte di empatia, accoglienza, spirito di mutuo soccorso, e realtà deprecabili fatte di mediocrità, pregiudizio, ignoranza. Bisogna accettare entrambe.

Di Marcella abbiamo il contatto diretto, sappiamo che ha ricevuto ampia solidarità da molti persone ed ha trovato casa vicino l’ospdale di Catanzaro, nel quale presta servizio tutti i giorni per assistere i pazienti CoVid-19. Speriamo che anche Silvia, abbia trovato casa.

Ad entrambe la nostra vicinanza e solidarietà, unitamente all’augurio di una splendida carriera.

Ma soprattutto, auspichiamo che gli italiani, passata la tempesta CoVid-19, imparino a capire l’importanza sociale che la nostra Professione riveste, speriamo che il sacrificio (purtroppo parola da leggersi anche in senso letterale) di tanti professionisti italiani, faccia comprendere ai cittadini che rispettare gli Infermieri, i sanitari, per quello che hanno scelto di fare, è un dovere quantomeno morale.

Fonte: infermieristicamente.it