Nella mattinata di oggi, nel Museo Archeologico Nazionale di Capo Colonna, il Comandante dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Cosenza ha consegnato al Soprintendente Abap di Catanzaro e Crotone 83 beni culturali che sono stati recuperati durante delle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica del capoluogo pitagorico.
L’evento si è svolto alla presenza del Prefetto Vicario di Crotone, del Procuratore Capo della Repubblica di Crotone, del Comandante della Legione Carabinieri Calabria, del Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Capo Colonna e delle autorità locali.
I beni, consistenti in preziosi reperti archeologici, paleontologici e un antico cannone navale del XVII sec. d.C., sono stati recuperati nel corso di due distinte indagini, condotte dal Nucleo Tpc di Cosenza tra il maggio 2017 e luglio 2018 e da dicembre 2021 ad agosto 2023.
La prima attività ha permesso di disarticolare un presunto gruppo criminale che operava su scala nazionale ed internazionale, contando anche ramificazioni in Gran Bretagna, Francia, Germania e Serbia, accusato di reati di danneggiamento del patrimonio archeologico dello Stato, impossessamento illecito di beni culturali, ricettazione ed esportazione illecita. Allora furono eseguite un’ordinanza cautelare che colpì 23 persone e ottanta perquisizioni a carico di altrettanti indagati in stato di libertà.
La seconda, invece, originata da un controllo nelle aree immediatamente adiacenti al Parco archeologico di Capo Colonna, nel corso del quale è stata casualmente notata la presenza del cannone riutilizzato come ornamento all’interno della corte di un’abitazione privata, ha portato alla denuncia di una persona per ricettazione e al recupero di numerosi reperti archeologici e paleontologici, oltre che dello stesso cannone, beni che erano stati sottratti illecitamente nel corso degli anni al patrimonio nazionale.
Entrambe le indagini sono state svolte in stretta collaborazione con i funzionari archeologi della Soprintendenza di Catanzaro e Crotone e i docenti del Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra dell’Università della Calabria di Arcavacata di Rende, grazie ai quali è stato possibile stabilire la natura e la provenienza di tutti i beni recuperati.
I materiali sequestrati sono complessivamente databili tra l’età del ferro e l’età romana e trovano stretti confronti con quelli rinvenuti a Torre del Mordillo, a Spezzano Albanese, nel cosentino, oggi conservati al Museo dei Brettii e degli Enotri di Cosenza, o presenti nell’area archeologica di Capo Colonna e nei fondali marini antistanti.
Sono presenti oggetti metallici, strumenti per la tessitura (fuseruole e pesi da telaio), reperti vascolari (anfore, contenitori d’uso comune per cibi e bevande) ed elementi architettonici.
Tra quest0ultimi si segnalano per importanza alcuni frammenti di tegole in marmo greco paragonabili a quelle conservate nel Museo di Capo Colonna che dal V secolo a.C. coprivano il santuario di Hera Lacinia, spoliato in età romana.
Databile al V secolo a.C. è anche un frammento di lastra di rivestimento in terracotta con decorazione a palmetta che trova un confronto diretto con quella superstite dell’Edificio B di Capo Colonna. Ancora all’area di Capo Colonna, e in particolare alla domus romana di I secolo a.C. è da attribuire una base in pietra.
Anche i beni fossili provengono da successioni sedimentarie mio-plioceniche della stessa area geografica di Capo Colonna, mentre il cannone era stato asportato proprio dai fondali marini antistanti la stessa località.
La restituzione al patrimonio dello Stato dei beni culturali recuperati è frutto di azioni complesse, compiute in stretta sinergia con gli organi centrali e periferici del MiC, nonché dell’impegno e la professionalità di donne e uomini, militari e civili, altamente specializzati in questo settore molto specifica, che hanno consentito di salvare importanti testimonianze dell’identità collettività che ci raccontano la loro storia e, di riflesso, la nostra.
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