La Guardia di Finanza di Como, coordinata dalla Procura locale, ha confiscato disponibilità patrimoniali appartenenti ad un presunto gruppo criminale che si ritiene abbia commesso diversi reati tributari nel settore della fornitura di manodopera, delle pulizie, del facchinaggio, dei trasporti e della logistica, al servizio della cosiddette Gdo, la Grande Distribuzione Organizzata.

L’attività delle fiamme gialle parte dopo che il 21 giugno dell’anno scorso furono effettuarono delle perquisizioni locali e personali nei confronti di 21 persone fisiche e 19 giuridiche residenti e con sede in Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania e Calabria.

Allora furono anche eseguite 14 misure cautelari personali, nove in carcere, quattro agli arresti domiciliari e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, oltre al sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche per equivalente, di 7,7 milioni di euro.

La confisca definitiva, eseguita oggi, dunque, ha consentito l’acquisizione a favore dello Stato di due compendi aziendali a Cadorago (Como); due ville di pregio con piscina a Grandate e Lurago Marinone (ancora a Como); dieci immobili in provincia di Como e Brescia; ventotto rapporti finanziari con una giacenza complessiva di oltre 460 mila euro.

Inoltre, di quote societarie; due autovetture utilitarie; altrettante moto Harley Davidson; denaro contante per poco più di 333 mila euro; due orologi di valore della Rolex e Bulgari); gioielli di Chanel, Gucci e Bulgari e un anello con diamante Trilogy.

LA SENTENZA DEFINITIVA

La sentenza, divenuta oramai irrevocabile, ha confermato la responsabilità penale di undici persone fisiche, di cui quattro risultate, tra l’altro, destinatarie, a vario titolo, delle pene accessorie della interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; della incapacità di contrarre con la Pubblica Amministrazione; della interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria; della interdizione perpetua dall’ufficio di componente della Corte di Giustizia tributaria; e della interdizione dai pubblici uffici.

Le attività di polizia giudiziaria, svolte dai militari del Gruppo di Como, scaturite dal monitoraggio di diverse società cooperative attive nel territorio lariano e dalla conseguente percezione di diversi indici di rischio fiscali e valutari, hanno portato a far ritenere di aver disarticolato quello che gli investigatori hanno definito come “un complesso sistema di frode fiscale perpetrato in forma associativa”, ininterrottamente e tra la fine del 2015 ed il 2022, con la costituzione di diciassette società cooperative, un consorzio ed una Srl, società a responsabilità limitata, considerata la società capogruppo.

LE IMPOSTE EVASE

I presunti responsabili, attraverso questo “sistema”, ovvero utilizzando fittiziamente lo schema societario cooperativistico, avrebbero emesso diverse fatture per operazioni inesistenti, si stima per oltre 21 milioni di euro.

Inoltre sempre con l’uso di fatture per operazioni inesistenti sarebbero stati evasi più di 496 mila euro ai fini delle Imposte dirette, e di oltre 3,7 milioni ai fini Iva.

Agli indagati si contestano poi l’omessa dichiarazione per un ammontare di imposte evase ai fini delle imposte per 900 mila euro e Iva per 737 mila euro; delle compensazioni indebite di imposta attraverso la compensazione sistematica di debiti tributari e previdenziali utilizzando crediti tributari inesistenti o comunque non spettanti, indicati nei modelli F24, per un ammontare complessivo di circa un milione di euro; degli omessi versamenti dell’Iva per cica 830 mila euro.

IL SISTEMA DI FRODE

Il presunto sistema di frode ideato e realizzato dal gruppo è stato ricostruito dai finanzieri grazie ad accertamenti documentali e bancari e tramite l’esecuzione di specifiche attività tecniche.

Da qui si è arrivati poi ad individuare più società cooperative di lavoro a struttura precaria, in quanto tenute in vita dagli indagati per limitati periodi di tempo e sostanzialmente inadempienti sia agli obblighi civilistici che fiscali.

Queste società, delle cosiddette “cartiere”, avrebbero avuto il compito di assumere la forza-lavoro, di fatto gestita da altre due società “capogruppo” (un consorzio ed una società di capitali) che hanno costituito, invece, una struttura permanente nel tempo, risultando apparentemente in regola dal punto di vista fiscale, adempiendo all’attività direzionale ed amministrativa.

IL RUOLO DELLE “CARTIERE”

Secondo gli inquirenti queste “cartiere” avrebbero avuto il compito di raccogliere i cosiddetti assets produttivi (la forza-lavoro), di fatto gestiti da due società “capogruppo” ed emettere, nei confronti di queste ultime, fatture false, con le quali sarebbero stati addebitati fittiziamente i costi del personale, consentendo loro di abbattere l’ingente debito Iva scaturito dalla fatturazione delle prestazioni al cliente finale/committente. Un’operazione che avrebbe anche consentito un risparmio dei contributi previdenziali e assistenziali.

L’ipotesi è poi che le società capo-gruppo, avvalendosi della compiacenza di società terze (definiti “soggetti accollanti”), abbiano così traferito le proprie esposizioni debitorie a quest’ultime tramite la procedura dell’accollo del debito, compensando questi debiti tributari con crediti non spettanti ed inesistenti, per un ammontare complessivo di oltre un milione di euro.