Una foresta intricata, rami nodosi e intrecciati, un’atmosfera cupa e sinistra : è la selva dei suicidi. Basta spezzare un ramo per accorgersi che imprigiona quella che un tempo fu una vita umana , perchè dallo sterpo spezzato escono parole e sangue.
Disperati, i suicidi disprezzarono a tal punto il proprio corpo da privarsene deliberatamente e ora, fatti sterpi, sono condannati a mantenere l’anima in eterno prigioniera di un vegetale. La tristezza di questi dannati si sprigiona già dalla lugubre ambientazione e si concentra sulla tragica figura di Pier delle Vigna.
Notabile alla corte di Federico II in Sicilia , per l’invidia degli altri cortigiani cadde in disgrazia del sovrano e fu accusato di alto tradimento. Rinchiuso in carcere a Cremona e accecato si uccise per disdegnoso gusto. Il suicidio acquista per Pier della Vigna il gusto sadico della vendetta perpetrata contro una persona profondamente amata e poi intimamente odiata per l’ingiusta sofferenza inflittagli. Ma , come è nella psiche tortuosa e contraddittoria dei suicidi , di fatto la vendetta si consuma contro la loro stessa persona . L’amore si è trasformato in un odio autodistruttivo . Le stesse nodosità che intrecciano i rami della foresta attestano un pensiero contorto , un ‘emotività avviluppata. In realtà Pier Della Vigna non solo non assolve pienamente il suo bisogno di vendetta contro coloro che ingiustamente lo condannarono , ma si aliena completamente l’amicizia di Dio : perde contemporaneamente la vita terrena e la vita eterna . Dante deve condannarlo perchè ha disperato di Dio , commettendo una delle colpe più gravi per un cristiano. Il poeta fiorentino , che forse più di una volta , nei tragici momenti dell’esilio pensò al suicidio, sa analizzare molto bene questa problematica. La disperazione è una cattiva consigliera : ottenebra la mente e gonfia il cuore , disponendolo a una violenza estrema contro natura. Durante il suo viaggio Dante saprà che le grandi braccia di Dio sono infinite , che nel suo amore si placa ogni ingiustizia , che la sofferenza è strumento di perfezione , se sopportata con fede. Ora sa soltanto che il suicidio nega la ragione umana , perchè. come racconta Pier della Vigna ingiusto fece me contra me giusto. Canto di dolore e di tristezza il XIII dell’Inferno si conclude con un altra annotazione di ordine umano e morale : scialacquare è un pò come lasciarsi dilaniare dai propri indomabili istinti , Le cagne affamate che straziano gli scialacquatori inseguiti, braccati e poi fatti a brandelli , testimoniano che anche nello spreco delle proprietà , c’è una perdita della luce della ragione : i beni terreni vanno usati per un fine costruttivo utile a se e alla comunità ; chi li disperde non fa che confermare la propria soggezione a un istinto autodistruttivo, Ecco perchè anche gli scialacquatori si trovano nella selva dei suicidi : la loro presenza attesta che le passioni di qualsiasi tipo, lasciate libere di crescere e svilupparsi a dismisura , al di la di ogni ragionevole presa di coscienza , si ritorcano contro l’uomo , inchiodandolo alla sua condizione di infelicità prima terrena poi eterna.
IL Canto XIII è un esempio evidente delle figure retoriche presenti nella Commedia . In realtà l’intera Divina Commedia è fittamente tessuta di figure retoriche : discepolo di Virgilio non solo nel viaggio attraverso l’oltretomba , Dante ne apprende il raffinato magistero formale e si vale di tutti gli usi della retorica per conferire maggior decoro letterario e, insieme, maggiore energia al suo canto , a tal punto che l ‘opera costituisce , di fatto , un ottimo repertorio delle più note figure retoriche .
per me si va ne la città dolente
per me si va ne l’etterno dolore
per me si va tra la perduta gente (Inferno III , w 1-3)
Come si vede ogni verso inizia con le stesse parole (per me) . Anafora ( dal greco anaphorà= ripetizione) è pertanto la ripetizione di parole all’inizio dei versi successivi di un discorso . Si comprende come l’anafora fermi l ‘attenzione del lettore sulle parole , evidenziandone l’importanza. Rende inoltre il discorso enfatico , deciso e fortemente connotato dal punto di vista emotivo . Si tratta di un procedimento che si presta , perciò , a usi oratori . Vediamo ad esempio nella prosa oratoria di Cicerone :
nihilne te nocturnum……, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi , nihil consursus honorum omnium , nihil hic munitissimus….nihil horum ora voltusque moverunt ( da prima Catilinaria ) Qui la ripetizione di nihil( = niente ) serve a sottolineare la fravita del comportamento di Catilina ( capo della congiura del 63 a, C, in Roma)ma a anche a suscitare una maggiore risposta emotiva nell’assemblea dei senatori. Oggi lo stile anaforico ha meno successo tra gli scrittori e il loro pubblico, anche se è comunque presente nel linguaggio scritto e parlato di chi vuole conseguire un risultato puntando sugli affetti emotivi piuttosto che sui processi logico-razionale.
Ecco un altro esempio evidentissimo di anafora nella Commedia:
Tu duca , tu segnore, tu maestro (Inferno II , v 140)
In questo verso la ripetizione del pronome personale soggetto di seconda persona singolare sottolinea l’importanza di Virgilio come unica guida di Dante , il quale dichiara di dipendere totalmente da lui . L’anafora consacra Virgilio a guida : la forma linguistica si è fatta veicolo di un messaggio.
Professore Vincenzo Bruzzaniti