La felicità descrittiva dell’esordio, che trascorre dall’intenso eppur indeterminato attributo iniziale (Vago) attraverso la fortunata dittologia aggettivale ( spessa e viva) sino al movimento del penultimo verso ( prendendo la campagna lento lento) , rallentato ” timore et reverentia “, colorata da una chiusa tonale d’atmosfera , rivela per via programmatica sul piano strutturale l’eccezionalità del XXVIII canto del Purgatorio entro il tracciato del viaggio dantesco . Il canto precedente chiude nella solennità rituale del concedo virgiliano ( per ch’io sovra te corono e mitrio ) tutto un mondo ; con questo paio di terzine , cariche di sensazioni psicologiche , Dante pellegrino ne spalanca uno nuovo , quello della perfetta natura racchiuso tra due regni sovrannaturali , fra loro diversi, il Purgatorio e il Paradiso : cui giunge quando ” è restituito egli stesso a perfetta umanità “. Le ultime parole di Virgilio dai confini del canto precedente , portatrici di umana saggezza della guida sacerdotale , si perdono nel largo descrittivo di questo preludio , sembrano , per il momento almeno , morire senza eco nella stupefatta e incantata atmosfera del quadro naturale , perchè il cambio del personaggio avvicenda sulla scena il protagonista, Dante stesso , prolungando la dimensione misteriosa che avvolge il cammino dei tre protagonisti nel trapasso da un mondo all’altro. Ma la loro risonanza nel silenzio della selva e nel cuore del viandante , quale estremo congedo dalla memoria del lettore , giungerà sino alla patetica commozione di Dante , quando si accorgerà della dipartita della sua guida, in un quadro , dove l’ombra qui silente , del poeta classico esce dalla finzione letteraria per acquistare i lineamenti vivi della creatura , della persona umana. Dante lasciato da Virgilio alla soglia del paradiso terrestre . si dirige verso il bosco, folto e ricco di verde , che occupa gran parte dell’Eden . Entrato nella selva. il Poeta si trova la strada interrotta da un ruscello , le cui acque , benchè prive di di ogni impurità , appaiono tutte scure sotto l’ombra perpetua della “divina foresta”. Sulla sponda opposta appare una figura di straordinaria dolcezza: una donna cammina sulla riva del fiumicello cantando e cogliendo i fiori più belli. Dante la prega di avvicinarsi a lui , affinchè gli sia possibile udire le parole del suo canto , e la donna , muovendosi con la stessa grazia di una figura danzante , ne esaudisce la richiesta . Matelda , questo è il nome ( che sarà rivelato solo nel canto XXXIII, verso 119) della dolce apparizione , dichiara di essere giunta per soddisfare ogni domanda di Dante , il quale subito le chiede una spiegazione : come possono esserci nel paradiso terrestre l’acqua e il vento, dal momento che al di sopra della porta del Purgatorio non esistono alterazioni atmosferiche ? Il monte del Purgatorio -incomincia Matelda – fu scelto da Dio per essere la dimora dell’uomo, il quale ne fu privato dopo il peccato originale ; esso fu creato altissimo , affinchè le perturbazioni atmosferiche non nuocessero alla creatura umana , ma la sfera dell’aria , che si muove con il muoversi dei cieli , colpisce gli alberi della selva facendoli stormire. Questi ultimi impregnano dei loro semi l’aria intorno, la quale , muovendosi , li sparge dovunque sulla terra . Quanto al ruscello che Dante ha visto, esso non nasce da una sorgente alimentata dalle piogge , ma da una fonte che riceve direttamente da Dio tanta acqua, quanta ne perde .Infatti due sono i fiumi del paradiso terrestre : il primo già incontrato dal poeta è il Letè , la cui acqua dona l’oblio del peccati commessi, il secondo è l’Eunoè , che fa ricordare solo le opere buone compiute.

La divina foresta rappresenta una dimensione sensibile dello stato d’innocenza che fu proprio dell’umana radice prima del peccato .Essa si contrappone esplicitamente- nella definizione datane dal Poeta non meno che nella funzione simbolica attribuitale nell’economia generale della Commedia – alla selva del peccato del canto proemiale dell’opera. In entrambe una condizione della presenza umana nel mondo è suggerita in termini i quali , per adombrando in sè il soprannaturale , sono ancora di pertinenza della sola natura. Ma il lussureggiare della vegetazione ha, nei due casi , un significato diametralmente opposto . Nella selva selvaggia aspra e forte esso allude ad un vivere dominato da una pluralità di istinti contrastanti , donde una lacerazione , un conflitto , che oppone l’uomo a stesso e dal quale non è data liberazione attraverso mezzi umani . Nella descrizione della divina foresta è presente il senso di una felicità che pone le manifestazioni del vivere al di la di ogni interrogativo , di angoscia o imprevisto . é la selva della vita manifestazione di felicita dell’ Eden. Gli antichi commentatori erano concordi nel riconoscere in Matelda la famosa contessa Matilde di Canosa nata nel 1046 e morta nel 1115, che fu una delle figure più importanti nel burrascoso periodo della lotta per le investiture fra Papato e Impero . Un altro gruppo di studiosi volle identificarla con qualcuna delle donne della Vita Nova . Al verso 64 si ricorda Venere – Venere la dea dell’amore che fu ferita dalla punta di una freccia che usciva dalla faretra del figlio Cupido. Il ferimento avvento mentre la stessa teneva in braccio il figlio fu del tutto involontario e quindi contro le abitudini del Dio che sceglieva liberamente le sue vittime. La dea si innamorò cosi del giovane Adone (cfr. Ovidio- Metamorfosi X, 525sgg.). Al verso 70 si ricordano Leandro e Serse- Serse . re di Persia , nel 480 attraversò con un potente esercito lo stretto dell’Ellesponto. La fonte della leggenda ricordata nei versi 73-74 è ancora una volta Ovidio ( Eroidi XVIII, 139 . Leandro un giovane di Abido , sulla costa asiatica , sulla costa asiatica attraversava ogni notte a nuoto lo stretto dell’Ellesponto per raggiungere sull’altra riva la località di Sesto , dove abitava Ero, la fanciulla da lui amata , ma spesso il mare in tempesta gli impediva di compiere questa impresa.

Professore VIncenzo Bruzzaniti