Commento Estetico al canto XXVII del Paradiso a cura del Professore Vincenzo Bruzzaniti
Un ‘atmosfera trionfante apre il canto : è l esplosione di gioia dei beati che intonano il Gloria a Dio . Un coro forte e grandioso s’impone al lettore ; improvvisamente però viene interrotto e , sullo scenario paradisiaco , cala il silenzio: ben altra voce infatti deve parlare al pellegrino Dante , Si tratta di San Pietro che lancia una forte invettiva contro la chiesa e gli ecclesiastici . Le accuse , incentrate su termini fortemente realistici , quali cloaca del sangue e de la puzza , dipingono il quadro fosco di una chiesa invischiata nelle mene del potere , nella corruzione e nell’avidità : Beatrice , di fronte a queste parole , resta fortemente imbarazzata . Tutte le anime partecipano allo sdegno di San Pietro e un rossore si dipinge nel cielo . Il santo denuncia che non è di certo la sposa di Cristo per cui tanti patirono il martirio, la sua Chiesa , ora ricettacolo dei politicanti e mercanti .
L’ira di san Pietro s’accosta all’ira evangelica di Gesù contro i mercanti del tempio(cfr. Matteo , 21, 12-13)e l’ammonimento dei lupi che si camuffano da agnelli rinvia anch’esso al Vangelo . Dante afferma con decisione che il male va condannato senza mezzi termini o ipocrisie , che la bontà cristiana non va confusa con il lassismo . Anche questa dura invettiva è, in fondo un Gloria a Dio che sempre stimola l’uomo al bene ; il contrasto poi tra l’inizio gioioso e l’ira di San Pietro rende ancor più viva e drammatica l’accusa del male che è penetrato tra gli uomini e la Chiesa . Le vie del Signore sono infatti molteplici e anche il pellegrino Dante può farsi strumento della Provvidenza divina , comunicando all’umanità il messaggio del fondatore della Chiesa cristiana . Nella confidenza dell’intervento di Dio si riaccende la gioia celeste , che apre spazi infiniti . L’occhio di Dante vaga dalle Colonne d’Ercole al Mediterraneo orientale , in un sereno godimento visivo a cui si associa il piacere di un amore estatico senza confini . Nella dimensione di infinito , l’io finito di Dante assapora l’eterno , di cui è misura il riso della sua donna . Ma quanto è più la gioia divina , tanto più drammatico il confronto con il limite umano , e i versi ritrovano un’ umanità meschina , arida , chiusa nel ristretto spazio della sua pochezza . La cupidigia , che inchioda l’uomo al finito , raggiunge il culmine nel racconto di Beatrice , nel desiderio che alcuni hanno di vedere morta la propria madre per impadronirsi dell’eredità : solo i piccoli sulla terra sono innocenti . La grave accusa contro un umanità perduta , unita all’invettiva di san Pietro , costituisce un energico invito alla rigenerazione , all’avvio di tempi nuovi , portatori di valori soffocati dall’ avidità di chi ha fatto dei beni materiali il proprio Dio . sullo sfondo di spazi infiniti , Dante esprime il sogno di una umanità rinnovata nei singoli e nelle istituzioni , oltre che la convinzione che ciò sarà nel segno della Provvidenza divina
Prof Vincenzo Bruzzaniti