Il canto XXIV dell’Inferno è un canto la cui area poetica non coincide interamente con la sua effettiva dimensione materiale e metrica, , apparendo la similitudine iniziale del “villanello” strutturalmente e artisticamente connessa alla situazione finale del canto precedente e contenendo l’esordio del successivo il necessario epilogo e come il suggello della bestialità sacrilega e blasfema di Vanni Fucci.
Se ci sono dei canti che possiedono una loro unità poetica nell’architettura complessiva del poema , e proprio perciò possono legittimare una lettura limitata e in certo senso autosufficiente gravitante attorno al nucleo essenziale dell’episodio , ve ne sono altri come appunto il XXIV a proposito del quale una lettura rigidamente impostata appare arbitraria perchè fa violenza alle leggi della poesia e dimentica lo spazio ideale in cui si inscrive , nella sua organica compiutezza , la rappresentazione dantesca .
Il canto XXIV presenta una singolare varietà di motivi e di forme e da luogo a un ritmo mosso e ricco di esiti umani e artistici. Un canto il nostro , nato proprio all’insegna della varietà
Virgilio esorta Dante a riprendere il cammino , anticipandogli che di ben altro impegno sarà la salita che lo condurrà al Purgatorio . Cosi si incamminano sul ponte che sovrasta la settima bolgia , luogo di pena dei ladri .
Ai due poeti si presenta una scena mostruosa e terribile. Tantissimi serpenti tormentano i dannati , impossibilitati a trovare un riparo .Uno di questi viene morso alla gola e subito arde , Divenuto cenere, dopo qualche attimo si ricompone e riprende le sue fattezze, pronto a sopportare un nuovo supplizio . Si tratta del ladro pistoiese Vanni Fucci il quale accortasi della presenza di Dante , arrossisce dalla rabbia e dalla vergogna per essere stato riconosciuto in quel luogo di pena . Reagisce allora vendicandosi : dopo aver confessato di essere stato l’autore del furto nella sacrestia della chiesa di San Jacopo a Pistoia , per il quale fu condannato un innocente , gli precide che presto i Bianchi di Firenze saranno definitivamente cacciati dalla città ad opera dei Neri , cosi come accadrà ai Bianchi di Pistoia , e Vanni rivela inoltre a Dante , con impudenza , di avergli detto questo per procurare dolore .