Tutto il canto si svolge su due piani , nettamente distinti nei loro valori strutturali ed estetici , ma intimamente connessi nei loro valori morali e poetici. C’è l’atmosfera generale del Purgatorio , regno dell’espiazione e della redenzione , dove tutti i tormenti sono accettati coscientemente dai peccatori e dove il dolore è rasserenato dalla certezza della salvazione, e c’è l’episodio di Sapia che armoniosamente confonde e fonde le umane passioni da cui trae origine, con quella atmosfera.

La sfumatura che lega i due piani , apparentemente diversi e distanti tra loro , è troppo sottile e troppo squisitamente poetica perchè possa essere intesa e compresa senza una particolare penetrazione della poesia dantesca . Siamo nella seconda cornice , dove sono punite le anime degli invidiosi , i due pellegrini odono gridare , da voci misteriose attraverso l’aria , tre esempi di carità : il miracolo di Cristo alle nozze di Cana , l’amicizia profonda che legava due famosi eroi greci, Oreste e Pilade , il comando evangelico all’amore fraterno. I penitenti , addossati a una dura parete e coperti da ruvidi manti , si sorreggono gli uni alle spalle degli altri : i loro occhi appaiono chiusi , cuciti da un filo di ferro che impedisce loro di scorgere la luce del cielo . Dante , che teme di mostrarsi scortese passando dinanzi alle anime senza rilevare la sua presenza , chiede se in mezzo a loro c’è qualche italiano . ma risponde una voce , ogni uomo ha una sola patria che è quella celeste .Dante avanza verso l’ombra che ha parlato per conoscere il nome o il luogo di nascita ; appare cosi la figura della nobil donna senese Sapìa , la quale confessa il suo peccato di invidia , che la portò a gioire più del male altrui che del proprio bene personale , spingendola anche a chiedere a Dio la rovina della sua patria. Alla fine della vita si convertì , ma solo le preghiere di un umile venditore di pettini della sua città le evitarono la lunga sosta nell’antipurgatorio. Durante il colloquio con Sapìa , che non rinuncia a colpire , anche con dura ironia i suoi concittadini , Il Poeta riconosce che il suo animo è occupato non tanto dal peccato di invidia , quanto da quello della superbia , che egli sconterà sotto il peso dei macigni nella prima cornice.

Sapìa fu una nobildonna di Siena , moglie di Guinibaldo Saracini signore di Castiglione . Nel verso 109 Sapìa allude al fatto che il suo nome ha la stessa radice etimologica di savia e sappiamo che per influsso della Scolastica si diffuse in tutto il Medioevo la concezione secondo la quale i nomi hanno uno stretto rapporto con la sostanza di una cosa o con le qualità di una persona : Dante stesso vi accenna a proposito del nome di Beatrice nel capitolo XIII della Vita Nova . Il venditore di pettini che prego per Sapìa , è Pier Pettinaio , nato alla fine del secolo XII , visse a Siena dove appunto aveva una bottega di pettini ; fu terziario Francescano e mori nel 1289 in fama di santità.
La pena della cecità colpisce gli invidiosi in base a una legge del contrappasso , perchè i loro occhi , che in vita godettero nell’osservare il dolore altrui , sono ora chiusi alla luce del ciel: una cecità fisica che dipende da quella cecità morale per cui essi capovolsero la visione del mondo e delle cose , sostituendo all’amore verso il prossimo il desiderio del suo male. Per sottolineare la durezza del castigo Dante ricorda , nei versi 71 -72 un operazione consueta che nel Medioevo subivano gli sparvieri non ancora addomesticati e irrequieti , ai quali venivano cucite le palpebre affinchè potessero essere più facilmente ammaestrati .
Professore Vincenzo Bruzzaniti