Due uomini salgono al tempio a pregare: uno è fariseo, l’altro pubblicàno. Il FARISEO si rivolge a Dio sbandierando i suoi meriti e si permette, forte della sua giustizia, di giudicare duramente gli altri. La sua preghiera è autoreferenziale, è un monologo. Non prega Dio ma contempla vanitosamente se stesso. E’ un uomo talmente pieno di sé che per Dio non c’è posto. La sua preghiera è “atea”, cioè senza Dio.
Il PUBBLICANO invece, cosciente del suo peccato, si mette davanti a Dio con tutta la sua miseria e il suo desiderio di perdono. Sa che da solo non può farcela, che ha bisogno del perdono di Dio. Non cerca scuse o alibi, ma si fida di Dio e del suo amore.
Da una parte l’uomo SUPERBO, che esalta se stesso e disprezza il prossimo. Dall’altra l’uomo UMILE, consapevole dei suoi limiti e delle sue colpe. Apparentemente entrambi hanno intenzioni buone, ma evidentemente non basta andare in chiesa per essere buoni. Anche noi possiamo essere farisei, anche noi possiamo essere pubblicani.
Vorrei trarre da questa pagina alcuni insegnamenti: 1. Nessun uomo può dichiararsi giusto davanti a Dio. Siamo tutti peccatori. L’uomo è peccatore e Dio lo rende GIUSTO con la sua grazia. La presunzione di essere giusti ci preclude il pentimento e il perdono.
2. Chi è portato a guardare i peccati degli altri difficilmente vedrà i propri. Ognuno sarà giudicato per i PROPRI peccati e non per quelli degli altri.
3. Dio non ha bisogno della nostra impeccabilità, ma della nostra UMILTA’. Il cristiano autentico si sente sempre un pubblicano, un peccatore, salvato dalla misericordia di Dio e continuamente bisognoso del suo aiuto.
Applichiamo questa pagina a noi. Visti dal di fuori sembriamo tutti buoni. Ma visti dal di dentro come siamo davanti a Dio?