E’ FURBO l’amministratore della parabola. Disonesto e ladro ma furbo. E Gesù loda la sua astuzia e la sua intraprendenza, non loda certo la sua disonestà ma riconosce che quel tale è riuscito a prepararsi la pensione dopo aver capito l’aria che stava tirando. Scoperto ad intrallazzare, ha saputo farsi dei buoni amici con la disonestà a scapito del povero padrone. E Gesù chiosa l’episodio: quanta poca astuzia mettiamo, invece, nelle cose di Dio! Quanta poca attenzione poniamo nelle cose che riguardano l’anima e il suo destino! Tutti presi dai mille affanni della quotidianità, specialmente in un’epoca così fragile, scordiamo l’essenziale, fatichiamo ad investire in ciò che davvero conta. Ma se l’amministratore pensa al suo futuro perché non fare altrettanto nelle uniche cose che restano?
“Non possiamo servire a Dio e a Mammona”! Da quale pericolo ci vuole mettere in guardia? Gesù indica qui l’INSIDIA mortale che la ricchezza rivolge al cuore dell’uomo. L’uomo che confida nei suoi averi pensa di non aver più bisogno di Dio. Non solo, ma la fame di cose materiali si dilata talmente nel cuore fino a impadronirsene completamente. L’accumulo dei beni diventa il fine stesso della vita. Riscontriamo la verità di quanto ha affermato soprattutto nella nostra società. Mai una generazione è stata così RICCA e così ATEA. Il profitto fine a se stesso è la divinità davanti alla quale tutti ormai si prostrano. Il denaro tende ad occupare il posto di Dio: in ciò consiste la sua perenne pericolosità.
La ricchezza è “disonesta” perché spesso è frutto di ingiustizia e causa di sopraffazione. Ma anche perché abbaglia e acceca. Il denaro è il dio FALSO, l’idolo più bugiardo: promette e non mantiene, prima ti illude e poi ti delude, ti promette vita e alla fine ti dà morte.
“Rendi conto della tua amministrazione”: è l’invito che non ammette repliche o dilazioni. La vita è una RICCHEZZA che Dio ci ha dato da amministrare. Ognuno riceve la sua parte, ognuno riceve talenti in abbondanza che deve far fruttificare per il bene comune.