COMMENTO AL VANGELO II DOMENICA DI QUARESIMA (C) (Luca 9, 28b-36)
In quel tempo Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e salì sul monte a pregare. Oggi prende con sé, se lo vogliamo, TUTTI NOI!
Il Vangelo, lo sappiamo, non è fatto per essere semplicemente letto, ma per essere ogni volta RIVISSUTO. E a noi si offre oggi un’occasione unica per rivivere l’esperienza di quei tre discepoli.
La Trasfigurazione ha un grande significato teologico: è una conferma dell’Incarnazione (ci dice che in quel corpo in tutto simile al nostro si nascondeva la gloria della divinità); è un anticipo della gloria della risurrezione; è un antidoto allo scandalo della croce; mostra infine che Gesù è il compimento della Legge (Mosé) e dei Profeti (Elia).
Scrive S. Paolo: “La nostra patria è nei cieli, di là aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”.
La Trasfigurazione fu anche una meravigliosa esperienza di gioia, una “finestra aperta” sul nostro futuro: ci assicura che l’opacità del nostro corpo si trasformerà anch’essa in luce.
Sul Tabor i discepoli esclamarono: Signore, è bello per noi stare qui! La Trasfigurazione è un mistero di BELLEZZA.
Un teologo ortodosso, P. Evdokimov, ha scritto un libro intitolato “Teologia della bellezza”, partendo proprio dall’icona della Trasfigurazione.
Ma com’era la bellezza del corpo di Cristo sul Tabor? Una bellezza che veniva dal di dentro, che aveva nel corpo il suo mezzo di espressione, non la sua sorgente ultima. Questo richiamo è quanto mai attuale: viviamo in una cultura di idolatria del corpo, ridotto spesso ad oggetto di consumo.
Significative le parole di papa Paolo VI: “Una sorte incomparabile ci attende se avremo fatto onore alla nostra vocazione cristiana” (6 agosto 1978). E’ questa la nostra speranza, la nostra fiduciosa certezza!