COMMENTO AL CANTO XXVI dell’Inferno di Dante a cura del Professore Vincenzo Bruzzaniti.
“Fatti non foste a viver come bruti”
Dopo l’invettiva contro i ladri fiorentini, l’attenzione di Dante è catturata da una lingua di fuoco biforcuta. L’immagine allude alla doppiezza e fa pensare alla lingua del serpente, l’animale che, nel mito e nella cultura popolare , indica l’astuzia maligna. La fiamma a due punte fascia le anime di una coppia nota nel mondo antico: Ulisse e Diomede , compagni d’inganni e di frode . Dante si mostra desideroso di parlare con questa strana fiamma , ma Virgilio lo blocca: sarà lui stesso a a condurre il colloquio, perchè si tratta di personaggi del mito greco . Da ciò si intuisce che l’incontro è importante e che la mediazione di Virgilio si impone , Dei due parla la punta più lunga , narrando la propria fine .
E’ in questo racconto che si concentra il tema che interessa Dante .
La narrazione segue il tono epico richiesto dal personaggio, ma anche dalla trattazione di grandi temi umani : cosi è stato per Francesca (Inferno, canto V) e per Farinata( inferno, canto X). Il discorso si sviluppa sul motivo della conoscenza che, per Ulisse, diventa uno scopo da perseguire a ogni costo. No basta l’affetto per il figlio Telemaco e per il vecchio padre , nè l’amore per Penelope a spegnere questo insaziabile bisogno che contraddistingue in maniera
specifica l’eroe e dovrebbe distinguere l’uomo dagli animali : “considerate la vostra semenza
Fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza .
L’uomo non è stato creato per una vita vegetativa , tipica degli animali , ma per cercare continuamente la virtù, intesa come valore, forza, coraggio ( affine al termine greco dynamis) e conoscenza. L’ uomo si connota per la necessita di capire , per lo sviluppo che che in lui hanno i valori dell’intelligenza : è un ‘affascinante proposta di vita , tant’è che tutti i compagni di Ulisse l’accolgono con la stessa intensa passione .Cosi una schiera di vecchi eroi che meriterebbero il riposo si proietta verso un sogno grandioso: conoscere il mondo sanza gente. Animati da questa motivazione iniziano un folle volo verso l’ignoto . Folle è infatti chi sfida l’inconoscibile , inoltrandosi al di la delle Colonna d’Ercole, nel mondo vietato all’uomo, chi crede di poter superare con le sole sue forze i limiti tipici della natura umana : il risultato è l’annientamento totale . Quando apparirà la montagna del Purgatorio , all’improvvisa gioia subentrerà la tragedia, nell’ineluttabilità della fine. Il Purgatorio non è un mondo da conoscere con lo sguardo pagano di chi , finito, pretende di cogliere l’infinito , è l’immagine di questi vecchi che remano all’impazzata suggerisce l’idea di ciechi che corrono sbandati senza meta.
Dal racconto , tuttavia , si capisce che Ulisse , come già Francesca , non sa spiegarsi la sua tragedia , sa solo descriverla : la morte ha fissato per sempre una condizione psico-fisica senza concedere alcuno sviluppo conoscitivo . Anche Dante si interroga sulla sua sorte , ma il poeta che ha vissuto il dramma della selva oscura , ha ormai la sua risposta: l’errore è stato del fare della conoscenza un dio . Egli. invece, ha ancorato il suo forte bisogno di conoscere alla trascendenza : fra le grandi braccia di Dio si è aperto un varco all’infinito.
Di Ulisse la letteratura di tutti i tempi ha fornito le più svarianti e affascinanti interpretazioni che lo hanno reso l’Uomo simbolo di diversi aspetti dell ‘universo maschile . Alla sete di conoscenza , alla sfida al cielo dell’Ulisse dantesco , l’immagine intimista e solitaria della morte dell’eroe che oppone il poeta Giovanni Pascoli , mentre Il poeta Umberto Saba nella poesia Ulisse inserita nella raccolta Mediterrenee del 1946 si identifica con il personaggio Ulisse cantato da Dante che dopo le vicende narrate nell’Odissea parte nuovamente per nuove scoperte .
Vincenzo Bruzzaniti-