Un ulteriore strumento per guardare alla lotta alla ’ndrangheta e alla criminalità organizzata più in generale da un altro punto di osservazione, quello del mondo ecclesiale. L’obiettivo è di tradurre questo lavoro di osservazione e di analisi in concreti punti di riferimento ai quali insegnanti di religione, catechisti e formatori di gruppi parrocchiali potranno ancorarsi nelle rispettive attività, soprattutto quelle che hanno come interlocutori privilegiati i ragazzi. L’iniziativa – che non risulta abbia sin qui precedenti nella Chiesa italiana – è stata messa in campo dall’arcivescovo di Reggio-Bova monsignor Giuseppe Fiorini Morosini e vedrà la luce nei prossimi mesi, a settembre in occasione dell’apertura del nuovo Anno Pastorale. La commissione pastorale per i problemi della lotta alla ‘ndrangheta e della criminalità organizzata dell’Arcidiocesi di Reggio-Bova avrà una decina di componenti al massimo – non soltanto religiosi – e verrà guidata da un laico. Nessuna indiscrezione sin qui su chi rivestirà questo incarico. «Ho avviato da tempo contatti con diverse personalità – ha spiegato l’arcivescovo monsignor Giuseppe Fiorini Morosini -. È un percorso che abbiamo già iniziato a tracciare e adesso siamo davvero alle battute conclusive. La tematica è talmente importante, la necessità di fornire supporto concreto a chi quotidianamente opera con i ragazzi così avvertita che ho ritenuto utile istituire una commissione specifica consentendo a quella “Giustizia e pace”, già esistente e operante, di poter lavorare in altri campi senza essere (ulteriormente) gravata da questo problema enorme per il nostro territorio». Per scongiurare qualsiasi rischio di sovrapposizioni e duplicazioni il Pastore della Chiesa reggina ha specificato che «le diverse problematiche saranno affrontate esclusivamente dal punto di vista ecclesiale.Voglio lavorare come chiesa per la formazione delle coscienze, che è lo specifico della Chiesa». Per riuscire a meglio “dialogare” con i ragazzi, la Commissione utilizzerà anche il linguaggio delle immagini: la struttura delle comunicazioni sociali dell’arcidiocesi ha in cantiere la realizzazione di alcuni video da utilizzare nelle scuole e nelle altre occasioni di incontro che verranno programmate su vari temi che vanno dal superamento dell’omertà e della paura al “No” al pizzo e a ogniforma di vessazione. Si tratta di un progetto che sta per vedere la luce dopo aver riscosso l’unanime apprezzamento e condivisione per l’utilità dell’azione. Tutti i sacerdoti dell’arcidiocesi, infatti, sono stati contattati via mail ed invitati a far conoscere il loro pensiero. «Il clero che ho interpellato è stato sostanzialmente d’accordo sull’opportunità dell’istituzione della commissione – ha aggiunto l’arcivescovo Fiorini Morosini – mentre sulle modalità di attuazione ho registrato qualche differenza». La necessità di riuscire a fornire ai formatori e ai giovani un robusto e adeguato supporto valoriale e di conoscenze – finalizzato a una concreta azione di contrasto a ’ndrangheta e criminalità in generale – secondo l’arcivescovo di Reggio-Bova serve anche per inquadrare «in maniera aderente alla realtà accadimenti di oggi e di ieri che richiedono una lettura che non sia in qualche modo alterata. Parlare, ad esempio, come mi è capitato di leggere anche di recente, a proposito del Santuario di Polsi che lì la Chiesa non sia stata attenta a quel che la ’ndrangheta faceva, non lo ritengo corretto». Prima di guidare l’arcidiocesi reggina monsignor Giuseppe Fiorini Morosini ha retto la diocesi di Locri-Gerace e, dunque, sul Santuario di Polsi aveva un punto di osservazione in qualche misura privilegiato. «Ma questo – ha aggiunto – non può voler dire che quanto poi emerso da alcune indagini avvenisse alla luce del sole o addirittura nei locali del Santuario, come sembra apparire nell’immaginario collettivo. Trovo ingeneroso e ingiusto affermare che i vescovi che si sono succeduti e il rettore del Santuario non abbiano nel passato badato a certe cose, mi amareggia sentir dire che la Chiesa andava a braccetto con la ’ndrangheta. Quando ai giovani di San Luca io e il rettore consegnavamo la Croce da portare in processione chiedevamo loro di sottoscrivere un giuramento di sottomissione esclusivamente alla fede che poi veniva bruciato all’interno di un braciere posto ai piedi del Crocifisso. Anche così – ha concluso – si provava ad arrivare al cuore dei giovani».

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